Tuesday, February 28, 2006

2-ARTE E LINGUAGGIO – ALTERARTE di Ettore Mosciàno.



Arte tra‘Zero’ e ‘0’. Identificazioni plurime nelle pulsioni dell’arte
contemporanea del XX secolo. Paradossi di coscienze parallele. Segno e gesto.

L’arte, nell’epoca attuale, è un ente dissonante; essa si “muove” tra la meraviglia del reale e l’angoscia, in rappresentazioni ontologiche e culturali che nascono dalla silente energia dell’anima del mondo, il neuma-aria, la pulsione fantasmatica. Da questo apparente vuoto-energia le immagini archetipiche vengono richiamate alla memoria e si associano con e senza sequenze logiche, utilizzando coscienze parallele.
L’intuizione è la molla che ci porta ad una concezione del mondo che è molto simile a quella dei mistici di tutti i tempi e di tutte le tradizioni; e le intuizioni non possono essere comunicate razionalmente e dichiarate a priori, perchè nate da una esperienza della realtà totalmente non intellettuale: esperienze che nascono da uno stato di coscienza non ordinario.
Lo psicologo William James dice che: “La normale coscienza dello stato di veglia, che chiamiamo coscienza razionale, è soltanto un tipo di coscienza particolare, mentre tutto intorno ad essa, separate da schermi sottilissimi, esistono forme potenziali di coscienza completamente diverse”. Quella dell’artista è una posizione virtuale in cui le intenzioni rivolte al bene comune portano anche la memoria storica del male, e quindi, la messa in opera delle immagini archetipiche tendono a risolversi in un equilibrio dinamico tra questi due estremi delle passioni umane. Di solito, se si vuole imparare qualcosa di veramente profondo, bisogna studiare i fenomeni non nella loro forma “normale”, regolare, consueta, ma nel loro stato critico, negli stati irregolari delle eccezioni, dei controesempi, delle deformazioni concettuali ed anche, intimamente, in un momento di febbre e di passione.
L’esperienza personale, in tal senso, porta l’espressione artistica ad essere radicalmente empirica e sperimentale. Solo in un secondo momento tale esperienza può arricchirsi ed essere approfondita in termini dialettici, ma questa seconda fase è indipendente dall’espressione fenomenica primaria.
La conoscenza, come elaborazione di un sistema di segni, si configura allora, come un’analisi generale di ogni forma di pensiero attraverso l’estrapolazione di percezioni sensoriali e di astrazioni che devitalizzano le realtà apparenti, di superficie. Il risultato di questi processi è un universo di segni, una lingua che scompone, annulla e riunifica in un gioco combinatorio mentale che si affianca alla fisicità del corpo, del gesto; ma l’arcaica somiglianza dei segni con le cose, il loro potere di evocare le analogie e di innescare movimenti di simpatie e corrispondenze su tutti i piani del sensibile e delle note culturali, fanno sì che i segni rientrino nella sfera della comunicazione astratto simbolica niente affatto neutrale.
Fare arte sollecitando coscienze parallele, quindi, significa esercitarsi a guardare, pensare ed immaginare oggetti e fenomeni in una situazione critica, paradossale. Il paradosso mette in luce le incongruenze che nascono nella comunicazione verbale e nelle immagini di figure già date, mostrando tutti i limiti di una identità psichica di massa e di un comportamento di assuefazione.
Il fisico, premio Nobel, Niels Bohr, così si esprime: ”L’enorme ampliamento della nostra esperienza, verificatasi negli ultimi anni, ha messo in luce l’insufficienza delle nostre ingenue concezioni meccanicistiche e, di conseguenza, ha scosso i fondamenti su cui si basava l’ordinaria interpretazione dei fenomeni osservati”. Il discorso, trasferito sul piano artistico ed estetico, è quanto mai valido. Non a caso oggi l’arte “viaggia” su posizioni contrastanti se anche nella fisica delle particelle subatomiche gli scienziati si trovano di fronte a fenomeni inspiegabili con la logica delle leggi conosciute ed evidenziano il ricorso a concetti paradossali; tanto che lo scienziato Fritjof Capra, che ha consacrato la sua attività al campo delle alte energie ed allo studio sulle implicazioni filosofiche della scienza moderna, parla addirittura, con evidente ragione, di un “taoismo della fisica” e (oltre a far cenno a questo ritorno ciclico di parentela tra mistica esistenziale, scienza e natura, che non si verificava più da secoli) fa notare anche l’attuale esistenza di una difficoltà, tra scienziati, a poter spiegare con la logica corrente del linguaggio comune i fenomeni nuovi osservati nelle recenti scoperte.
L’artista, in genere, si avvale di diversi studi e conoscenze culturali quando dalle sue pulsioni mentali evidenzia l’opera sulla tela; quindi un possibile spettatore non dovrebbe stupire “del nuovo e del diverso” ma riflettere sulle sue conoscenze culturali e trovare occasione di umano confronto dall’altro da sé. Spesso si è notato come esperienze e valori che avevamo creduti sempre contrari siano, in definitiva, e paradossalmente, aspetti differenti della medesima cosa. In questo senso, il paradosso, l’assurdo, l’ironia sono veicoli artistici che deviano l’opinione comune ed ampliano le facoltà intuitive e la riflessione sulle condizioni della propria esistenza. L’artista, come il fenomenologo, sospende i rapporti di giudizio e di relazione esistenziale creando un vuoto nei valori etici e non, nelle osservazioni mentali, mette in parentesi l’atteggiamento naturalistico e scioglie i vincoli del reale; nega, e al limite annulla, non per perdere il reale ma per ridarlo sotto altro indice, come una logica del possibile. Da questa attenta astrazione, vuoto “dinamico”, l’evento artistico diviene atto, corpo, e si fa persona, io. I segni organizzati hanno il loro senso immanente non a livello intellettivo ma nella potenzialità progettuale del fare creativo, originale, della danza del proprio corpo nel farsi segno, disegno, ritmo.
Bergson invita a non considerare il reale come generato dal possibile, ma a considerare il possibile come generato dal reale e come qualcosa più del reale. L’arte, per questo, non è informazione codificata e linguisticamente strutturata, ma comunicazione “tout court”. Il risultato estetico, per ogni artista, è il prodotto di un processo manuale e di correlazioni psichiche a vari livelli culturali, percettivi, esistenziali e fantastici.
Una estetica preordinata o definita, quindi, è solo un substrato indicativo su cui muoversi e riflettere, quando c’è; ma non c’è poetica artistica o estetica che possa definire in maniera duratura l’arte e l’opera d’arte (la storiografia insegna), perché esse sono espressioni e concetti “in divenire”, continuamente in moto e in trasformazione, antropologicamente in vita e vitali per esigenza dei comuni mortali e degli operatori.
Il paradosso nega e nullifica e diventa filosofia esistenziale, un metodo espressivo per cui si passa come per una via d’uscita, per andare oltre l’identico, verso una liberazione da ciò che è già dato; un mondo inedito, come nascita del possibile e del probabile per ricostruire un nuovo legame sociale; è anche un grido di disperazione contro la permanenza sentita nell’area di una cultura stretta, istituzionalizzata e normalizzata, contro l’indifferenza e l’abulia.
In questo senso, il mio lavoro artistico sul linguaggio iconografico paradossale attua un possibile rapporto con il resto dell’umanità.

Roma, aprile 1986.




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