1-ARTE e LINGUAGGIO – ALTERARTE - di Ettore Mosciàno.
Il linguaggio trasformazionale delle arti.
In un processo di trasformazione e di sistemazione i due stadi dell'ordine e del disordine si equivalgono (fluttuazioni, diversificazioni, perturbazioni).Nel processo semiotico (in cui qualcosa funziona da segno) il segno è un oggetto
che ha la funzione di richiamarne un altro.
Non c'è nessun essere vivente che si serva di segni quanto l'uomo, anche se il "comportamento dei segni" non è esclusivamente della specie umana. Il filosofo americano Ch. Morris afferma che la civiltà umana riposa su segni e su sistemi di segni. L'attività dei segni si identifica addirittura con ciò che si chiama "mente" o "ragione", secondo le tendenze dominanti della filosofia e della psicologia contemporanee. In pittura, così come nelle altre espressioni artistiche, come la musica, la danza, la poesia, i segni dei rispettivi e particolari linguaggi non formano quasi mai una combinazione corretta dal punto di vista strutturale (semantico) in quanto non hanno un "sema" comune alla logica linguistica corrente, convenzionale; ed anche tra le stesse arti la creatività e l’originalità inventiva ricorrono ad associazioni del pensiero extra razionali, surreali, anche se altrettanto vere e reali, dove il linguaggio strutturato entra ben poco.
L'espressione artistica assume allora un aspetto semantico anomalo o di grammatica trasformazionale, ideativa, in cui vengono evidenziati i processi associativi di un linguaggio particolare. I segni costruiscono una figurazione probabile, con o senza il modello; essi sono indizi da cui si può dedurre qualcosa; un concentrato di ciò che nella sua molteplicità di aspetti, nei suoi significati nascosti, nella sua capacità di dilatazione, siamo in grado di fissare in un quadro, in una poesia, in un brano musicale, solo come "frammento"; ed i frammenti "vivono" in uno spazio ed in un tempo in cui l'occhio e la mente si sono dilatati, senza contorni conosciuti e preordinati, come CIFRA PERSONALE nel vuoto e nel nulla. (Il termine cifra viene dal latino medievale "cifra", dall'arabo "sifr" e dal sanscrito "çunia" e significa "vuoto, nulla, zero").
L'alterità della grammatica trasformazionale dei segni è sinonimo di diversità e si oppone al concetto di identità. Il problema del riconoscimento di altri soggetti, di altre coscienze oltre la propria, è quindi un problema di comunicazione. Modalità della comunicazione (linguaggio modale) è quella che coinvolge i livelli profondi in cui l'io più intimo è nella sua completezza ed allo stato puro; ed è in questo stato, di pulizia da artifici culturali e passionali, che è possibile la comunicazione con altre coscienze, altre culture.
Per il matematico francese Mandelbrot (studioso dei frattali) "il reale è una nuvola polverosa, di cui la scienza classica e la tecnologia hanno descritto solo simulacri, definiti e terminati, normalizzati e purificati"."Le cose forniscono all'arte solo il materiale grezzo, gli elementi che essa sposta, scioglie, ricostruisce secondo la propria legge. Attraverso le trasformazioni l'arte dà alla realtà empirica ciò che le spetta, l'epifania della sua essenza nascosta e il meritato orrore di essa. In questo processo, chi agisce veramente non è la persona privata, l'io empirico, l'uomo singolo nella sua particolarità: ma un io spirituale che è in realtà un "noi", perchè in esso agiscono tutti i rapporti sociali in cui l'artista si trova a vivere" (così scrive il filosofo Nicola Abbagnano in "Questa pazza filosofia" -1979-, commentando la "Teoria estetica" di Theodor W. Adorno).L'artista è un grande informatore, nel peggiore dei casi un pettegolo, nel migliore un saggio, che fa da mediatore tra la filosofia, la teologia, la scienza da un lato e il comune mondo umano dall'altro. La sopravvivenza e lo sviluppo dell'uomo sono legati soprattutto alla memoria che permette di conservare l'esperienza passata e di prevedere e progettare quella futura. E la memoria agisce per "astrazione" scegliendo tra gli elementi di una situazione quelli che la caratterizzano meglio. Ora, l'astrazione dà luogo a probabili linguaggi (espressioni di segni) che costituiscono nello stesso tempo il rapporto su una esperienza-cultura passata ed una possibile guida futura.
In Baudelaire, "astratto" significa prevalentemente "intellettuale", nel senso di "non naturale", cioè un concetto di una fantasia illimitata il cui equivalente sono le linee e i movimenti liberi dall'oggetto. Le linee ed i movimenti sono chiamati da Baudelaire "arabeschi" ed essi sono i più ideali di tutti i disegni. Grottesco ed arabesco erano stati accostati tra loro da
Novalis, Gautier e Poe. Baudelaire li accosta ancora di più.
Nel suo sistema estetico, grottesco arabesco e fantasia sono strettamente connessi: la terza è la capacità di movimenti astratti, vale a dire liberi dalle cose, dello spirito libero; i primi due sono il prodotto di queste capacità.Il concetto di arabesco, della linea libera, si collega al concetto del "periodare poetico". Questo, come scrive Baudelaire in un abbozzo di preparazione per "Les Fleurs du Mal", è una pura sequenza di accenti e di movimenti, può formare una linea orizzontale, una linea ascendente, una linea discendente, una spirale, uno zig-zag di angoli sovrapposti; e proprio così la poesia è in contatto con la musica e la matematica.
Il paradosso dell'affermazione di Baudelaire : "Il poeta è l'intelligenza più alta e la fantasia è la più scientifica di tutte le facoltà" non apparirà oggi meno paradossale di allora. Il paradosso è nel fatto che proprio quella poesia che evade nell'irrealtà, dinanzi ad un mondo scientificamente decifrato e tecnicizzato, pretenda nella produzione dell'irreale quella stessa intelligenza e compiutezza progettuale riconosciuta alla scienza e alla tecnica e per le quali la realtà è divenuta ristretta e banale.
L'astrazione è il nuovo concetto derivato dal precedente paradosso.
Ancora contro la rappresentazione oggettiva, il pittore russo Casimir Malevic ne "Il mondo della non-rappresentazione" (1927) dice: "Chi voglia giudicare un'opera d'arte secondo il magistero della rappresentazione oggettiva, cioè secondo l'illusione di vita che essa genera, e chi voglia scoprire l'essenza della sensibilità e dell'ispirazione in questa rappresentazione oggettiva, non avrà mai la gioia di intendere il vero contenuto di un'opera d'arte".
La realtà, quindi, non è a priori, ma essa “diviene”, mutando la regola in inventiva (arte/artificio). Non si conosce mai abbastanza lo spazio, perché esso è creato di volta in volta e si immedesima con il sentimento estetico.
L'indeterminazione del segno e della cifra postula l'indipendenza del linguaggio dai fenomeni, così l'espressione delle arti appare come una “perturbazione del sistema estetico” (così come in fisica, nella meccanica quantistica di Heisenberg, la misura fisica è una perturbazione di cui è impossibile dare una esatta valutazione).
Leibniz ammette una transazione fra possibile e reale con la teoria della "gradazione intensiva dell'essere", per cui dal possibile derivano il reale e l'inesistente e non viceversa (Metafisica di Leibniz nelle relazioni formali).
Il senso dell'essere ha significato, allora, solo nel contesto generale della situazione vissuta dall'artista e la scelta di vita, o di manifestazione artistica, è l'apertura che conferisce a tale situazione una esistenza come poter-essere (progetto) ed in questo senso le fa trascendere i limiti dell’opera fatta nel presente, trascende la finitezza dell'uomo, della sua morte; per cui la comprensione del senso dell'essere richiede la complementare esperienza del nulla, della alterità, attraverso la negazione delle passioni per le apparenze oggettive e per tutto ciò che le istituzioni politiche, scientifiche e religiose tendono a rendere cultura di massa e identità collettiva.
L'arte fa propria una critica del comportamento umano, del suo modo di essere più intimo e profondo, del suo modo di dire ed esprimere le ragioni della sua esistenza, della sua essenza mistica, non esclusivamente fideistica, del suo modo di esprimere una “'ENSTASI” (l'estasi interiore).
Ed è con queste intenzioni che l'artista entra dialetticamente nel campo della comunicazione e del linguaggio diversificato, degli enunciati di “fatti” (paradossali e probabili - come un koan del buddismo Zen), come di una grammatica trasformazionale, avente diritto di uno "status linguistico" (sebbene non ancora conosciuto) in quanto struttura di segni indicativi, possibili e significanti ( e non aventi già un significato come il comune segno linguistico che già appartiene ad un gruppo sociale che ne fa uso e ne è interprete assuefatto).
Quindi, quello che un segno linguistico della grammatica trasformazionale manifesta (non già esprime) non è dunque una rappresentazione o un concetto dato, bensì una direzione (o senso). Intenzionale.
Del linguaggio operativo, del possibile, il paradosso costituisce un fondamento, attraverso il quale l’artista propone le sue considerazioni che emergono sulla tela o sulla carta da un nulla in cui si fa strada la propria esperienza, attraverso i sensi e la propria memoria, arricchita anche delle memorie storiche che il soggetto riesce a rielaborare a modo suo.
Il paradosso richiede l'uso di coscienze parallele, che sono oltre la coscienza razionale normale, secondo lo psicologo William James.
La semantica della negazione, o quanto meno della sospensione di ogni giudizio o nozione (epochè) di ciò che è stato, in attesa di ciò che sta per essere, nella possibilità, probabilità, nasce dalla energia del segno astratto tracciato dal gesto di Hartung; dalle manifestazioni segniche di Wols e di Pollock; dalla poetica dello spazio contemplativo ed esoterico di Mark Rothko; dai dipinti "alogici" del pittore russo Casimir Malevic; dalle composizioni più controllate dell'astrattismo lirico della triade francese in M (Masson, Mathieu e Manessier); dalle "morfologie psicologiche del pittore cileno Roberto Sebastian Matta Echaurren; dalla progettazione segnica e dialettico-ecologica del tedesco Joseph Beuys; dallo stravolgimento materico e segnico-grafico del misticismo dell’inglese William Congdon. In Italia, dagli arabeschi astratti di Cagli, dall'espressionismo materico di Burri e dalla pittura segnico-gestuale di Vedova e Capogrossi.
La concezione del nulla e della negatività assume un significato tutto particolare anche nelle varie forme di filosofia e teologia. Attraverso le Upanishad conosciamo la dottrina del "Neti, Neti" ("Non è, non è"), secondo la quale l'unica via che conduce alla conoscenza della globalità e della perfezione è quella delle negazioni, uno stato di esaltazione della coscienza (turiya) in cui avviene una identificazione dell'anima individuale con il Sé Globale, per un processo virtuale.
Nell'esperienza macro-antropica (dell'uomo globale) l'essere nella sua “Enstasi” (Estasi interiore) "avverte"il "destino storico" (geschick) dell'umanità che si manifesta e si occulta. Il pensiero, allora, non è più solo filosofia (amore per la sapienza) ma un pensare che ricorda, una specie di nuovo misticismo, di nuova religiosità ancestrale e primitiva (penso all'animismo sciamanico), dove la materia originaria finisce per identificarsi con il nulla.
Così come il concetto di nulla è presente nel pensiero del buddhismo indiano, cinese e giapponese. Il "Nirvana" si raggiunge al termine di una esperienza illuminante, in una condizione di calma globale; ed essa consiste in un capovolgimento della mente, nel paradosso metafisico (il termine "Nirvana" ha significato di "liberazione attraverso le negazioni"); un tentativo di riscatto definitivo attraverso la "NOLONTA” (“NON VOLONTA’”), per redimere in se stesso l'universo, secondo le tesi di Schopenhauer (anche se il filosofo tedesco non credeva molto nell'arte come riscatto).
Nella scuola Mahayana, la dottrina buddhista può essere riassunta nella seguente frase: "Non abbandonare mai gli esseri viventi e renditi conto che in realtà le cose hanno la stessa natura del vuoto". Nel buddhismo indiano si ha la seguente percezione spirituale: "La forma è il vuoto, il vuoto è la forma".
Dal momento in cui ci sbarazziamo delle facili emozioni, delle incontrollate passioni, degli illusori desideri, fonti di inevitabili conflitti psichici, le cose, le forme esteriori sono svuotate della loro sostanza, private degli effetti che le nutrono e si disgregano nella vacuità.
Nel Taoismo cinese il maestro Lao-tzu richiama questo aspetto nel "Tao Te Ching": "Trenta raggi convergono nel mezzo della ruota, ma è il suo vuoto centrale che fa marciare il carro. Un vaso è fatto di argilla, ma è il suo vuoto che la rende abitabile".
Hegel affermava che la negazione è l'anima stessa della dialettica, come passaggio al di là dell'immobilità del finito.
L'esistenzialismo ha ribadito la presenza necessaria del nulla come segno e manifestazione, come nozione di alterità e negazione.
Giambattista Vico, filosofo, e Francesco De Sanctis, critico e storico della letteratura, hanno affermato che "L'arte è identità di intuizione ed espressione. Essa è una forma di conoscenza di primo grado, prelogica, intuitiva e sensibile, che riguarda l'universale sentimento lirico e cosmico".
Anche nella letteratura di Samuel Beckett vi è una sfida ad ogni estetica consolatoria: poiché sfidare un'estetica è contestare un modo di vivere. Il disprezzo delle regole apparenti, lo spavaldo ermetismo, l'insofferenza della convenzione, la reticenza, la mancanza di chiarezza sono elementi di un momento storico di cui non è facile definire il limite o il passaggio dal segno di superficialità a segno di profondità; non è facile dire in quale momento la mancanza di forma da timidezza diventi coraggio. Saint Exupery affermava che "Appena ci superiamo, l'universale è il traguardo e la grandezza dell'uomo. Non conosco atteggiamenti elevati che si basino sul razionale".
L'artista è un poeta della natura, prete-indovino, chiromante e santone. Ha qualità sciamaniche perché esercita la sua professione sulle idee che si fa del mondo e sul mondo; ed è con il lavoro artistico che viene eliminata questa differenza corporale ed illusoria tra soggetto e il mondo. Si tratta di uno stato mentale di chi si trova di fronte al nulla, al vuoto, all'assenza di tutto quanto ci circonda.
I mistici orientali insistono continuamente sul fatto che la realtà ultima non può mai essere oggetto di ragionamento o di conoscenza dimostrabile; né può essere descritta adeguatamente con le parole, perché sta al di là della percezione comune e dell'intelletto dai quali derivano le nostre parole e i nostri concetti.
Il fisico americano Fritjof Capria - premio Nobel e studioso di filosofie orientali - afferma che: "La realtà così come risulta dall'esperienza dei mistici è completamente indeterminata e indifferenziata"; e questo paradosso viene assimilato dallo stesso scienziato alle indeterminazioni di cui si ha conoscenza nella fisica moderna (indescrivibilità e presenze istantanee delle particelle subatomiche in continua trasformazione).
L'universo dell'artista è un mondo sacrale, da grande specialista dell'invisibile, intimamente animato da energie nascoste nella natura e nella psiche dell'uomo, alle quali si accorda più potere che alla stessa realtà apparente. La capacità di interconnessione di far comunicare tra loro i nostri sensi può portare ad una esperienza globale, enstatica (estetica interiore).
Un pensiero Zen, dottrina fortemente influenzata dal Taoismo, dice: "Nell'istante in cui parli di una cosa, essa ti sfugge". Così come sfuggono alla misura e all'osservazione sensibile le particelle ultime della fisica subatomica (anche la loro è una esistenza paradossale).
La condizione paradossale dell'arte contemporanea e le manifestazioni ad essa inerenti richiedono una vera conoscenza, la comprensione di ciò che, in maniera assai enigmatica, sostiene la vita e penetra nel fondo dell'oggetto conosciuto, invadendo il soggetto cui si rivolge. E si tratta di un grande problema perché la conoscenza nessuno sa dove va cercata né come va cercata; non è comunque con la ragione che si può raggiungerla ma è opera di virtù, presentimento e intuizione, soprattutto modo di essere e problema di disposizione, una nuova iniziazione.
Come la natura, così anche l'arte non fornisce asserzioni: si limita a presentare un universo sincronistico e senza causa, facendosi complice della natura, come luogo di potere; in questo campo di forza l'artista instaura un ordine magico anche alle apparenti incoerenze, con un'anima primitiva. Egli esprime e manifesta l'ordine e il disordine ed il raccordo percepito tra tutti i movimenti, in apparizione simultanea.
La coscienza nuova segue la via spirituale: al di là di "un sipario mentale che si sfonda", come si dice con una massima Zen.
Lo spazio-vuoto nelle poetiche artistiche viene riempito da quella forza pura che è la luce: una luce interiore. Quando la luce comincia a manifestarsi anche la materia dal buio prende consistenza e si manifesta.
Si preferisce considerare reale un'altra descrizione del mondo (e non un altro mondo, parallelo o dissociato dal nostro), l'altro lato delle cose. Le cose sono reali soltanto dopo che si è imparato a mettersi d'accordo sulla loro realtà. Mettersi d'accordo sulla realtà delle cose presuppone distruggere in sé la certezza che il mondo sia come ci è stato sempre insegnato che fosse e imparare una nuova descrizione di esso. Nessuna descrizione è definitiva; si ferma il mondo e si vede (si ha il potere di vedere).
La destrutturazione del mondo fenomenico sfocia nella rivelazione che non esiste nessuna essenza permanente. Questa nuova arte di vivere e di vedere deve portare l'artista a riconsiderare sempre il valore delle sue percezioni: questa è la "percezione democratica" del mondo.
Fermare il mondo, destrutturarlo, significa avere il potere di vedere.
L'atto di vedere non nega la realtà delle cose create, come non cancella l'identità del soggetto. Tutte e due sono presenti nell'artista in un nuovo rapporto di abbandono, di comunione svegliata. Dove sta l'esterno e dove l'interno, è senza significato. Essi si riflettono l'un l'altro.
Le opere sono soggetti di meditazione, medicina dello spirito e di nobiltà morale.
L'artista reinserisce l'irrazionale, l'illogico, il paradossale del tempo presente (ed in questo è il valore sociale e la posizione virtuale dell'arte) nel quadro complesso della natura e della condizione umana; e manifesta con la propria opera la ciclicità dell'eterno ritorno, la compresenza delle varie energie, le une nelle altre, la loro conservazione, come nelle nobili alchimie filosofali.
Il cammino interiore, cioè la rivelazione di un piano ultrasensibile, è una sfida a qualsiasi legge fisica ordinaria e sconvolge il nostro concetto lineare del tempo. L'accesso a questo stato presuppone il risveglio di certi poteri latenti, cioè il "potere della volontà" e il "potere dell'intuizione". Usando il "potere dell'intuizione", e sapendo "vedere", l'artista vede la trasparenza e la fluidità delle cose, la materia invisibile che le contiene, il "teatro universale e completo".
Roma, gennaio 1987
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9 Comments:
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