MARTINETTI Piero - "Breviario spirituale".
Edizioni Utet “Gli Imprescindibili”, 2006. Euro 15,00.
“Una profonda ed appassionata disamina del cammino morale verso la saggezza e la bellezza spirituale”. Recensione di Ettore Mosciàno.
Non concordiamo con l’orientamento indicato nella prefazione da Anacleto Verrecchia, a proposito della scelta religiosa dell’autore del “Breviario”. Il Verrecchia richiama la figura di Martinetti come il più importante epigono italiano di Schopenhauer (che era induista) e lo indica come seguace della religione buddista. Non ci informa che nei libri successivi del Martinetti “Gesù Cristo e il Cristianesimo”, del 1934, e “Il Vangelo”, del 1936, il filosofo piemontese ha sempre più mostrato il suo discostamento dalle filosofie religiose orientali, restando, è vero, un anticlericale, ma immerso nel cammino della ricerca di Verità nella figura di Gesù Cristo.
Martinetti sosteneva che la Chiesa aveva rinnegato i principi di Cristo; ma lui, tuttavia, con la sua religiosità laica, si rimetteva a “Colui che solo può giudicare della verità e dell’errore, perché Egli solo è la Verità”.
La filosofia di Martinetti ha comunque ragione esistenziale e convinzione profonda in una spiritualità che bisogna guadagnarsi sulla terra, con le proprie scelte fatte quotidianamente, attraverso le buone azioni e i comportamenti virtuosi, con temperanza, pazienza, perseveranza, obbligo dei doveri familiari, rispetto per gli animali e per tutte le tradizioni religiose.
La sua tesi di laurea in filosofia fu “Il sistema Sankhya”: uno studio sulla religione induista. Successivamente, Martinetti si convince sempre più che “nell’educazione religiosa all’umanità vi sia il “regno dei fini” di cui parlava Kant. Le qualità da imitare sono quelle che si trovano negli uomini semplici, come quelli che figurano nei Vangeli o tra i profeti: nostre guide terrene di spiritualità e direzione morale.
Seppure spinto dall’idea di salvare la moralità e la spiritualità, insite nel messaggio di Gesù Cristo, Martinetti fa però di questo Maestro un mito, una leggenda edificante, ma non riconosce autorità alla Chiesa, ai dogmi, alle cerimonie “sacre”. Per lui Gesù non era figlio di Dio resuscitato da morte, ma profeta e Messia.
La spiritualità di Martinetti è tutta improntata nelle azioni sulla Terra, ma il disegno e il desiderio del traguardo erano di un’anima cristiana, che anelava ad un’armonia con la trascendenza, a cui non ha dato volutamente unica figurazione.
In Martinetti, pur nella sua grande riflessione, coincidono il pensiero puro, autentico e religioso, con la più perfetta laicità. Sublimando una filosofia morale di semplice applicazione nella vita quotidiana, Martinetti auspicava che tale filosofia sostituisse la predicazione e le cerimonie ecclesiastiche.
Il valore del suo “Breviario spirituale” sta nel fatto che Martinetti traccia ragionati percorsi del pensiero religioso laico, enunciando modalità per formarlo e ordinarlo, tanto da poterne far uso con semplicità nelle azioni quotidiane.
Egli ci espone il pericolo degli istinti e ci invita a considerare la ragione come fine ideale, ben sapendo che essa ha limiti soggettivi; ciononostante, egli è convinto che con la razionalità e l'autodisciplina si può raggiungere l’unità per una spiritualità collettiva.
La ragione negli uomini è alla superficie della loro attività, nell’usare i mezzi e coordinarli. Le forze che animano queste attività provengono da impulsi istintivi ed oscuri, di cui l’uomo spesso non sa darsi e non cerca ragione nel fine come bene umanitario. L’uomo conosce solo il bene come produzione progressiva utile, ma limitata dalla sua singola mentalità e visione d’orizzonte, in una illusione morale che oggi è esaltazione e domani una delusione. Uno stato di contentezza ed entusiasmo si alterna ad uno di tristezza e scoraggiamento; e così per tutto il suo avvenire.
Perciò, ogni atto umano è un errore ed un ammaestramento. Noi non possiamo vedere in questo progresso alcun limite definitivo.
Dove trovare la ragione superiore, definitiva?
Dovunque noi volgiamo lo sguardo non troviamo nella vita umana niente di stabile e di definitivo: l’illusione dura quanto la vita.
Per questo non vi è, almeno nella condotta e nella opinione individuale, una morale: ma vi sono concezioni e giudizi morali diversi secondo le classi sociali e le diverse condizioni. Ciò dipende dalla mancanza di comprensione della vita e delle altre condizioni personali, oltre la nostra.
C’è una incapacità di allargare lo sguardo della nostra visione.
Martinetti dice: “Il bene e la ragione sono come un faro di luce che ciascuno guarda soltanto da lontano, attraverso i preconcetti della sua condizione e del suo tempo”.
Le considerazioni fatte finora parrebbero condurci nel vicolo cieco dell'individualismo, dell'anarchia e del relativismo etico; ma Martinetti ci invita a comprendere il significato e il valore della vita, ed indica quale deve essere la volontà, quali le scelte consapevoli per motivati percorsi di sentieri spirituali.
Lo spirito dell’uomo non sa elevarsi al di là della barriera che la vita associativa e lavorativa, delle comunicazioni generiche e popolari, hanno costruito intorno al suo essere fisico.
Se si guarda al mondo intero con sguardo più ampio e comprensivo, le nostre azioni risulteranno più equilibrate e fatte con più saggezza. Questa concordanza di intenti e di esperienze ci avvicina ad una stabilità e ad una unità che non potranno essere sensibilmente alterate e che ci porteranno molto più vicino al concetto di ragione; cosicché tutte le volontà dell’uomo cooperino armonicamente, avendo dinnanzi la direzione cardinale della vita con cui misurare gli affetti e le azioni.
L’uomo è tanto più libero quanto è ragionevole e non si lascia andare agli impulsi delle passioni e delle cupidigie: questo lasciarsi andare non è libertà, ma insensatezza di chi non conosce o vuol conoscere la causa del suo modo di agire.
L’ideale unità e la consapevolezza, di essere e di agire in rapporto continuo con l’umanità e il mondo, danno all’uomo la possibilità di non lasciarsi condizionare dai poco significativi rapporti quotidiani di svago, d'intrattenimento e di ricerca del piacere sessuale. La ragione si solleva sopra i luoghi e i tempi e ci conduce oltre i momenti e le passioni con un linguaggio di significato più alto, oltre le miserie, le vanità e l’amarezza, per una serenità più grande ed una maggiore libertà interiore.
Se c’è questa volontà, ci si serve dei beni terreni giudicandoli adeguatamente per ciò che valgono nelle limitazioni particolari del momento, con un consapevole dominio di se stessi.
Il cammino dell’uomo nella sua vita, allora, sarebbe aperto ad un orizzonte estremamente potente dello spirito, mai definitivo, ma tuttavia in tensione comune e bene comune di libertà e di ragione.
Le religioni sono tradizioni di vita razionale. Nell’umanità vi sono tradizioni di saggezza e di ragione a cui l’uomo può fare riferimento e svolgere le più alte facoltà che ha.
Queste tradizioni di saggezza morale sono le grandi religioni. Esse, sebbene possano essere state corrotte dalle loro istituzioni nei luoghi e nei tempi, come qualsiasi cosa umana, hanno il merito inestimabile di farci capire “che il fine ed il valore vero della vita sono al di là della vita” – dice Martinetti. Per cui, anche quando la scienza con le sue scoperte e i suoi teoremi, nel suo progresso, cerca di scalzare la fiducia nelle tradizioni religiose e nelle loro essenziali affermazioni, l’uomo tornerà sempre con assetata volontà e desiderio a cercare spiegazioni e risposte proprio in queste tradizioni, in ciò che lo lega alle storie millenarie dei popoli, alle attese di una superiore rivelazione di luce, di saggezza e armonia con il suo passato storico religioso, perché di esso fa parte e di esso hanno fatto parte gli altri uomini.
Intorno ai nobili spiriti di coloro che ci hanno preceduto, e che hanno ragionato su queste tradizioni, è il cammino ragionevole e volenteroso di tutti gli altri uomini futuri; è a questi ultimi che vengono lasciate le opere e la cultura, come bene collettivo che non può morire.
Il filosofo Nicola Abbagnano trattando della filosofia di Martinetti disse che era “una specie di misticismo della ragione”.
Nel “Breviario spirituale”, come ben scrive Vittorio Mathieu in quarta di copertina, “Martinetti segue l’uomo nel suo elevarsi dal cieco impulso al dominio razionale di sé in cui consiste la vera libertà… La sfiducia nel valore della vita non può essere superata che con la contemplazione dell’Eterno e la convinzione che l’uomo è destinato a trovare il suo riposo in qualcosa che è al di sopra dell’umanità stessa”.
Bisognerebbe anche rileggersi cosa scriveva Giovanni Papini, nel clima culturale di quell'epoca, nella introduzione alla sua "Storia di Cristo" (che è del 1921, riferendosi ad altri autori; Martinetti pubblicherà il suo "Breviario spirituale" nel 1923). Papini,in "Storia di Cristo", scriveva già allora queste parole:
“Da cinquecent’anni quelli che si dicono ‘spiriti liberi’ perché hanno disertato la Milizia per gli Ergastoli smaniano per assassinare una seconda volta Gesù. Per ucciderlo nei cuori degli uomini.
Appena parve che la seconda agonia di Cristo fosse ai penultimi rantoli vennero innanzi i necrofori”. (…) “cervelli aerostatici che credevano di toccare le sommità del cielo montando nel pallon volante della filosofia e di metafisica si armarono – l’Uomo lo vuole! – come tanti crociati contro la Croce. Certi frottolanti svolazzatori fecero vedere in candela, con una fantasia da far vergogna alla famosa Radcliffe, che la storia degli Evangeli era una leggenda attraverso la quale si poteva tutt’la più ricostruire una vita naturale di Gesù, il quale fu per un terzo profeta, per un terzo negromante e per quell’altro terzo arruffapopoli; e non fece miracoli, fuor della guarigione ipnotica di qualche ossesso, e non morì sulla croce ma si svegliò nel freddo della tomba e riapparve con arie misteriose per far credere d’aver risuscitato. Altri dimostravano, come quattro e quattro fa otto, che Gesù è un mito creato ai tempi di Augusto e di Tiberio e che tutti gli Evangeli si riducono ad un intarsio inabile di testi profetici. Altri rappresentarono Gesù come un buon uomo ma troppo esaltato e fantastico, ch’era stato a scuola dai Greci, dai Buddisti e dagli Esseni e aveva rimpastato alla meglio i suoi plagi per farsi credere il Messia d’Israele. Altri ne fecero un umanitario maniaco, precursore di Rousseau e della divina Democrazia: uomo eccellente, per i suoi tempi, ma che oggi si metterebbe sotto la cura d’ un alienista. Altri, infine, per farla finita per sempre, ripresero l’idea del mito e a forza di almanaccamenti e comparazioni conclusero che Gesù non era mai nato in nessun luogo del mondo.
Ma chi avrebbe preso il luogo del grande Sbandito? Profonda ogni giorno di più era la fossa eppure non riuscivano a sotterrarlo tutto.
Ed ecco una squadra di lampionai e riquadratori dello spirito a fabbricar religioni per il consumo degli irreligiosi. Per tutto l’Ottocento le sfornarono a coppie e mezze dozzine per volta. La religione della Verità, dello Spirito, del Proletariato, dell’Eroe, dell’Umanità, della Patria, dell’Impero, della Ragione, della Bellezza, della Natura, della Solidarietà, dell’Antichità, dell’Energia, della Pace, del Dolore, della Pietà, dell’Io, del Futuro e via di seguito. Alcune non erano che raffazzonamenti di Cristianesimo scoronato e disossato, di Cristianesimo senza Dio; le più eran politiche o filosofie che tentavano di mutarsi in mistiche. Ma i fedeli eran pochi e stracco l’ardore. Quelle ghiacciate astrazioni, benché sostenute talvolta da interessi sociali o da passioni letterarie, non riempivano i cuori da’ quali s’era voluto scerpere Gesù.
Si tentò, allora, di accozzare dei facsimili di religioni che avessero, meglio di quelle altre, ciò che gli uomini cercano nella religione. I Liberi Muratori, gli Spiritisti, i Teosofi, gli Occultisti, gli Scientismi cedettero d’aver trovato il surrogato infallibile del Cristianesimo. Ma codesti miscugli di superstizioni muffose e di cabalistica cariata, codesti guazzetti di razionalismo sciupato e di scienza andata a male, di simbolica scimmiante e di umanitarismo acetoso, codeste rattoppature malfatte di buddismo d’esportazione e di Cristianesimo tradito, contentarono qualche migliaio di donne a riposo, di bipedes asellos, di condensatori del vuoto e fermi lì.
Intanto, tra un presbiterio tedesco e una cattedra svizzera, si veniva apprestando l’ultimo Anticristo. Gesù, disse costui scendendo dall’Alpi al sole, ha mortificato gli uomini; il peccato è bello, la violenza è bella; è bello tutto quello che dice di si alla Vita. E Zarathustra, dopo aver buttato nel Mediterraneo i testi greci di Lipsia e l’opere di Machiavelli, cominciò a saltabeccare, con quella grazia che può avere un tedesco nato da un pastore luterano e sceso allora allora da una cattedra elvetica, ai piedi della statua di Dioniso. Ma benché i suoi canti fossero dolci all’orecchio, non riuscì mai a spiegare cosa fosse questa adorabile Vita alla quale si doveva una parte tanto viva dell’uomo qual è il bisogno di reprimere i propri istintivi bestia, né seppe dire in qual maniera il Cristo, il Cristo vero degli Evangeli, si contrappone alla vita, lui che vuol farla più alta e felice. E il povero Anticristo sifilitico, quando fu vicino a impazzire, firmò l’ultima sua lettera: il Crocifisso.
Eppure, dopo tanta dilapidazione di tempo e d’ingegno, Cristo non è ancora espulso dalla terra.
La sua memoria è dappertutto. Sui muri delle chiese e delle scuole, sulle cime dei campanili e del monti, nei tabernacoli delle strade, a capo dei letti e sopra le tombe, milioni di croci rammentano la morte del Crocifisso. Raschiate gli affreschi delle chiese, portate via i quadri dagli altari e dalle case e la vita di Cristo riempie i musei e le gallerie. Buttate nel fuoco messali, breviari ed ecologi e ritrovate il suo nome e le sue parole in tutti i libri delle letterature. Perfin le bestemmie sono un involontario ricordo della sua presenza.
Per quanto si faccia, Cristo è una fine e un principio, un abisso di misteri divini in mezzo a due tronconi di storia umana (...).("“Storia di Cristo” ( 1921)- Vallecchi Editore, Firenze).
“Una profonda ed appassionata disamina del cammino morale verso la saggezza e la bellezza spirituale”. Recensione di Ettore Mosciàno.
Non concordiamo con l’orientamento indicato nella prefazione da Anacleto Verrecchia, a proposito della scelta religiosa dell’autore del “Breviario”. Il Verrecchia richiama la figura di Martinetti come il più importante epigono italiano di Schopenhauer (che era induista) e lo indica come seguace della religione buddista. Non ci informa che nei libri successivi del Martinetti “Gesù Cristo e il Cristianesimo”, del 1934, e “Il Vangelo”, del 1936, il filosofo piemontese ha sempre più mostrato il suo discostamento dalle filosofie religiose orientali, restando, è vero, un anticlericale, ma immerso nel cammino della ricerca di Verità nella figura di Gesù Cristo.
Martinetti sosteneva che la Chiesa aveva rinnegato i principi di Cristo; ma lui, tuttavia, con la sua religiosità laica, si rimetteva a “Colui che solo può giudicare della verità e dell’errore, perché Egli solo è la Verità”.
La filosofia di Martinetti ha comunque ragione esistenziale e convinzione profonda in una spiritualità che bisogna guadagnarsi sulla terra, con le proprie scelte fatte quotidianamente, attraverso le buone azioni e i comportamenti virtuosi, con temperanza, pazienza, perseveranza, obbligo dei doveri familiari, rispetto per gli animali e per tutte le tradizioni religiose.
La sua tesi di laurea in filosofia fu “Il sistema Sankhya”: uno studio sulla religione induista. Successivamente, Martinetti si convince sempre più che “nell’educazione religiosa all’umanità vi sia il “regno dei fini” di cui parlava Kant. Le qualità da imitare sono quelle che si trovano negli uomini semplici, come quelli che figurano nei Vangeli o tra i profeti: nostre guide terrene di spiritualità e direzione morale.
Seppure spinto dall’idea di salvare la moralità e la spiritualità, insite nel messaggio di Gesù Cristo, Martinetti fa però di questo Maestro un mito, una leggenda edificante, ma non riconosce autorità alla Chiesa, ai dogmi, alle cerimonie “sacre”. Per lui Gesù non era figlio di Dio resuscitato da morte, ma profeta e Messia.
La spiritualità di Martinetti è tutta improntata nelle azioni sulla Terra, ma il disegno e il desiderio del traguardo erano di un’anima cristiana, che anelava ad un’armonia con la trascendenza, a cui non ha dato volutamente unica figurazione.
In Martinetti, pur nella sua grande riflessione, coincidono il pensiero puro, autentico e religioso, con la più perfetta laicità. Sublimando una filosofia morale di semplice applicazione nella vita quotidiana, Martinetti auspicava che tale filosofia sostituisse la predicazione e le cerimonie ecclesiastiche.
Il valore del suo “Breviario spirituale” sta nel fatto che Martinetti traccia ragionati percorsi del pensiero religioso laico, enunciando modalità per formarlo e ordinarlo, tanto da poterne far uso con semplicità nelle azioni quotidiane.
Egli ci espone il pericolo degli istinti e ci invita a considerare la ragione come fine ideale, ben sapendo che essa ha limiti soggettivi; ciononostante, egli è convinto che con la razionalità e l'autodisciplina si può raggiungere l’unità per una spiritualità collettiva.
La ragione negli uomini è alla superficie della loro attività, nell’usare i mezzi e coordinarli. Le forze che animano queste attività provengono da impulsi istintivi ed oscuri, di cui l’uomo spesso non sa darsi e non cerca ragione nel fine come bene umanitario. L’uomo conosce solo il bene come produzione progressiva utile, ma limitata dalla sua singola mentalità e visione d’orizzonte, in una illusione morale che oggi è esaltazione e domani una delusione. Uno stato di contentezza ed entusiasmo si alterna ad uno di tristezza e scoraggiamento; e così per tutto il suo avvenire.
Perciò, ogni atto umano è un errore ed un ammaestramento. Noi non possiamo vedere in questo progresso alcun limite definitivo.
Dove trovare la ragione superiore, definitiva?
Dovunque noi volgiamo lo sguardo non troviamo nella vita umana niente di stabile e di definitivo: l’illusione dura quanto la vita.
Per questo non vi è, almeno nella condotta e nella opinione individuale, una morale: ma vi sono concezioni e giudizi morali diversi secondo le classi sociali e le diverse condizioni. Ciò dipende dalla mancanza di comprensione della vita e delle altre condizioni personali, oltre la nostra.
C’è una incapacità di allargare lo sguardo della nostra visione.
Martinetti dice: “Il bene e la ragione sono come un faro di luce che ciascuno guarda soltanto da lontano, attraverso i preconcetti della sua condizione e del suo tempo”.
Le considerazioni fatte finora parrebbero condurci nel vicolo cieco dell'individualismo, dell'anarchia e del relativismo etico; ma Martinetti ci invita a comprendere il significato e il valore della vita, ed indica quale deve essere la volontà, quali le scelte consapevoli per motivati percorsi di sentieri spirituali.
Lo spirito dell’uomo non sa elevarsi al di là della barriera che la vita associativa e lavorativa, delle comunicazioni generiche e popolari, hanno costruito intorno al suo essere fisico.
Se si guarda al mondo intero con sguardo più ampio e comprensivo, le nostre azioni risulteranno più equilibrate e fatte con più saggezza. Questa concordanza di intenti e di esperienze ci avvicina ad una stabilità e ad una unità che non potranno essere sensibilmente alterate e che ci porteranno molto più vicino al concetto di ragione; cosicché tutte le volontà dell’uomo cooperino armonicamente, avendo dinnanzi la direzione cardinale della vita con cui misurare gli affetti e le azioni.
L’uomo è tanto più libero quanto è ragionevole e non si lascia andare agli impulsi delle passioni e delle cupidigie: questo lasciarsi andare non è libertà, ma insensatezza di chi non conosce o vuol conoscere la causa del suo modo di agire.
L’ideale unità e la consapevolezza, di essere e di agire in rapporto continuo con l’umanità e il mondo, danno all’uomo la possibilità di non lasciarsi condizionare dai poco significativi rapporti quotidiani di svago, d'intrattenimento e di ricerca del piacere sessuale. La ragione si solleva sopra i luoghi e i tempi e ci conduce oltre i momenti e le passioni con un linguaggio di significato più alto, oltre le miserie, le vanità e l’amarezza, per una serenità più grande ed una maggiore libertà interiore.
Se c’è questa volontà, ci si serve dei beni terreni giudicandoli adeguatamente per ciò che valgono nelle limitazioni particolari del momento, con un consapevole dominio di se stessi.
Il cammino dell’uomo nella sua vita, allora, sarebbe aperto ad un orizzonte estremamente potente dello spirito, mai definitivo, ma tuttavia in tensione comune e bene comune di libertà e di ragione.
Le religioni sono tradizioni di vita razionale. Nell’umanità vi sono tradizioni di saggezza e di ragione a cui l’uomo può fare riferimento e svolgere le più alte facoltà che ha.
Queste tradizioni di saggezza morale sono le grandi religioni. Esse, sebbene possano essere state corrotte dalle loro istituzioni nei luoghi e nei tempi, come qualsiasi cosa umana, hanno il merito inestimabile di farci capire “che il fine ed il valore vero della vita sono al di là della vita” – dice Martinetti. Per cui, anche quando la scienza con le sue scoperte e i suoi teoremi, nel suo progresso, cerca di scalzare la fiducia nelle tradizioni religiose e nelle loro essenziali affermazioni, l’uomo tornerà sempre con assetata volontà e desiderio a cercare spiegazioni e risposte proprio in queste tradizioni, in ciò che lo lega alle storie millenarie dei popoli, alle attese di una superiore rivelazione di luce, di saggezza e armonia con il suo passato storico religioso, perché di esso fa parte e di esso hanno fatto parte gli altri uomini.
Intorno ai nobili spiriti di coloro che ci hanno preceduto, e che hanno ragionato su queste tradizioni, è il cammino ragionevole e volenteroso di tutti gli altri uomini futuri; è a questi ultimi che vengono lasciate le opere e la cultura, come bene collettivo che non può morire.
Il filosofo Nicola Abbagnano trattando della filosofia di Martinetti disse che era “una specie di misticismo della ragione”.
Nel “Breviario spirituale”, come ben scrive Vittorio Mathieu in quarta di copertina, “Martinetti segue l’uomo nel suo elevarsi dal cieco impulso al dominio razionale di sé in cui consiste la vera libertà… La sfiducia nel valore della vita non può essere superata che con la contemplazione dell’Eterno e la convinzione che l’uomo è destinato a trovare il suo riposo in qualcosa che è al di sopra dell’umanità stessa”.
Bisognerebbe anche rileggersi cosa scriveva Giovanni Papini, nel clima culturale di quell'epoca, nella introduzione alla sua "Storia di Cristo" (che è del 1921, riferendosi ad altri autori; Martinetti pubblicherà il suo "Breviario spirituale" nel 1923). Papini,in "Storia di Cristo", scriveva già allora queste parole:
“Da cinquecent’anni quelli che si dicono ‘spiriti liberi’ perché hanno disertato la Milizia per gli Ergastoli smaniano per assassinare una seconda volta Gesù. Per ucciderlo nei cuori degli uomini.
Appena parve che la seconda agonia di Cristo fosse ai penultimi rantoli vennero innanzi i necrofori”. (…) “cervelli aerostatici che credevano di toccare le sommità del cielo montando nel pallon volante della filosofia e di metafisica si armarono – l’Uomo lo vuole! – come tanti crociati contro la Croce. Certi frottolanti svolazzatori fecero vedere in candela, con una fantasia da far vergogna alla famosa Radcliffe, che la storia degli Evangeli era una leggenda attraverso la quale si poteva tutt’la più ricostruire una vita naturale di Gesù, il quale fu per un terzo profeta, per un terzo negromante e per quell’altro terzo arruffapopoli; e non fece miracoli, fuor della guarigione ipnotica di qualche ossesso, e non morì sulla croce ma si svegliò nel freddo della tomba e riapparve con arie misteriose per far credere d’aver risuscitato. Altri dimostravano, come quattro e quattro fa otto, che Gesù è un mito creato ai tempi di Augusto e di Tiberio e che tutti gli Evangeli si riducono ad un intarsio inabile di testi profetici. Altri rappresentarono Gesù come un buon uomo ma troppo esaltato e fantastico, ch’era stato a scuola dai Greci, dai Buddisti e dagli Esseni e aveva rimpastato alla meglio i suoi plagi per farsi credere il Messia d’Israele. Altri ne fecero un umanitario maniaco, precursore di Rousseau e della divina Democrazia: uomo eccellente, per i suoi tempi, ma che oggi si metterebbe sotto la cura d’ un alienista. Altri, infine, per farla finita per sempre, ripresero l’idea del mito e a forza di almanaccamenti e comparazioni conclusero che Gesù non era mai nato in nessun luogo del mondo.
Ma chi avrebbe preso il luogo del grande Sbandito? Profonda ogni giorno di più era la fossa eppure non riuscivano a sotterrarlo tutto.
Ed ecco una squadra di lampionai e riquadratori dello spirito a fabbricar religioni per il consumo degli irreligiosi. Per tutto l’Ottocento le sfornarono a coppie e mezze dozzine per volta. La religione della Verità, dello Spirito, del Proletariato, dell’Eroe, dell’Umanità, della Patria, dell’Impero, della Ragione, della Bellezza, della Natura, della Solidarietà, dell’Antichità, dell’Energia, della Pace, del Dolore, della Pietà, dell’Io, del Futuro e via di seguito. Alcune non erano che raffazzonamenti di Cristianesimo scoronato e disossato, di Cristianesimo senza Dio; le più eran politiche o filosofie che tentavano di mutarsi in mistiche. Ma i fedeli eran pochi e stracco l’ardore. Quelle ghiacciate astrazioni, benché sostenute talvolta da interessi sociali o da passioni letterarie, non riempivano i cuori da’ quali s’era voluto scerpere Gesù.
Si tentò, allora, di accozzare dei facsimili di religioni che avessero, meglio di quelle altre, ciò che gli uomini cercano nella religione. I Liberi Muratori, gli Spiritisti, i Teosofi, gli Occultisti, gli Scientismi cedettero d’aver trovato il surrogato infallibile del Cristianesimo. Ma codesti miscugli di superstizioni muffose e di cabalistica cariata, codesti guazzetti di razionalismo sciupato e di scienza andata a male, di simbolica scimmiante e di umanitarismo acetoso, codeste rattoppature malfatte di buddismo d’esportazione e di Cristianesimo tradito, contentarono qualche migliaio di donne a riposo, di bipedes asellos, di condensatori del vuoto e fermi lì.
Intanto, tra un presbiterio tedesco e una cattedra svizzera, si veniva apprestando l’ultimo Anticristo. Gesù, disse costui scendendo dall’Alpi al sole, ha mortificato gli uomini; il peccato è bello, la violenza è bella; è bello tutto quello che dice di si alla Vita. E Zarathustra, dopo aver buttato nel Mediterraneo i testi greci di Lipsia e l’opere di Machiavelli, cominciò a saltabeccare, con quella grazia che può avere un tedesco nato da un pastore luterano e sceso allora allora da una cattedra elvetica, ai piedi della statua di Dioniso. Ma benché i suoi canti fossero dolci all’orecchio, non riuscì mai a spiegare cosa fosse questa adorabile Vita alla quale si doveva una parte tanto viva dell’uomo qual è il bisogno di reprimere i propri istintivi bestia, né seppe dire in qual maniera il Cristo, il Cristo vero degli Evangeli, si contrappone alla vita, lui che vuol farla più alta e felice. E il povero Anticristo sifilitico, quando fu vicino a impazzire, firmò l’ultima sua lettera: il Crocifisso.
Eppure, dopo tanta dilapidazione di tempo e d’ingegno, Cristo non è ancora espulso dalla terra.
La sua memoria è dappertutto. Sui muri delle chiese e delle scuole, sulle cime dei campanili e del monti, nei tabernacoli delle strade, a capo dei letti e sopra le tombe, milioni di croci rammentano la morte del Crocifisso. Raschiate gli affreschi delle chiese, portate via i quadri dagli altari e dalle case e la vita di Cristo riempie i musei e le gallerie. Buttate nel fuoco messali, breviari ed ecologi e ritrovate il suo nome e le sue parole in tutti i libri delle letterature. Perfin le bestemmie sono un involontario ricordo della sua presenza.
Per quanto si faccia, Cristo è una fine e un principio, un abisso di misteri divini in mezzo a due tronconi di storia umana (...).("“Storia di Cristo” ( 1921)- Vallecchi Editore, Firenze).
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