PLATANIA Federico : "BUON LAVORO - Dodici storie a tempo indeterminato".
Edizioni Fernandel, euro 13.
"Le quaglie morte e i tipi umani nelle situazioni paradossali all’interno delle aziende” recensione di Ettore Mosciàno.
Se voi lavoraste in un’azienda, potrebbe capitarvi un giorno di ricevere un pacchetto contenente una quaglia morta. Sarebbe questo il segnale del vostro imminente licenziamento.
I paradossi, per chi crede di poter star bene con un impiego a tempo indeterminato, sono dietro l’angolo. Le scene descritte da Federico Platania sembrano uscite da esperienze autobiografiche e, se tali sono, sono comunque tremendamente esilaranti. L’autore, infatti, con la sua scrittura è stato capace di cogliere e restituire sinteticamente, con un occhio veramente pronto all’osservazione e alla scansione dei particolari, momenti, atmosfere, tic e manie del vissuto quotidiano degli impiegati intorno alle loro scrivanie, o nel rapporto coi loro capi. Il tutto registrato sulla pagina in modo sequenziale, senza mai annoiare il lettore, piuttosto facendo emergere anche le cupe atmosfere delle aziende traballanti, tra una battuta e l’altra di interlocutori con menti disperate, che lasciano intendere ciò che è dietro le quinte. Analisi del dire coi gesti, del parlare, dell’essere e del divenire tra avvenimenti e comportamenti di routine, malfunzionamento di strumenti e macchine, animali morti e vivi, presenti nel luogo-purgatorio dell’insicurezza, dell’instabilità e dell’angoscia: l’azienda.
Il sacro luogo di lavoro è contaminato e lo scrittore ha avuto l’agghiacciante pazienza dell’indagatore di prenderne nota, renderci teatralmente le scene, raccontandoci con la sua verve, fra il serio e il faceto, il proprio coinvolgimento dietro i nomi e i girotondi dei diversi protagonisti.
Un reportage di questo tipo di storie verosimili è il tessuto strutturale di tutto il libro di Federico Platania.
L’accattivante titolo augurale di “Buon lavoro” crolla fin dalla prima delle 12 storie, in cui il permanente e sicuro lavoro d’impiegato presenta l’altra faccia della medaglia, la sacra voglia di fuggire.
Mi sono molto divertito ed ho riso di sana voglia leggendo il testo, attendendo di volta in volta la piega, il risvolto comico, la bizzarria di queste persone “sfigate” tra il disordine, la ripetitività dei gesti, delle intonazioni verbali, dello spaesamento, dell’assuefazione. Descrizioni di banalità apparentemente insignificanti che, nella loro continuità, si concentrano in un assurdo teatrale e nel quadro surreale, attraverso il linguaggio che l’autore, con proprietà semantica, ha scelto.
Già nella bella copertina, fotomontaggio di Riccardo Grandi, due mani immense protese, levigate e diafane, emergono dal muro della parete di fondo, con le dita aperte come artigli, pronte a ghermire; sotto di loro un ignaro impiegato aziendale sta seduto, dietro la sua scrivania, con lo sguardo sereno e a noi frontale. Tutto può accadere in questo preannuncio “noir”; ma la foto porta anche il colore ocra chiaro di una voluta dagherrotipia che addolcisce l’impatto simbolico tra la calma apparente nella stanza e le mani che fuoriescono dalla parete.
Le 12 storie raccontate portano titoli misteriosi e originali: ”Gracchiante”, “Elettricità e polvere”, “Le scimmie di Vergara”, “Il topo respira ancora”, “L’uccellatore”, per dirne soli alcuni.
Le tre parti in cui si suddivide il libro coprono l’arco temporale da “ l’arrivo del nuovo assunto spaesato”, “giornate in azienda tra veterani” fino al “ tentativo di fuga dal palazzo”.
Un novizio si presenta il primo giorno al posto di lavoro e si ritrova dentro
un edificio che già manifesta le prime avvisaglie di mal funzionamento all’ingresso: il tornello, il dispositivo girevole a crociera, sembra non volerlo accettare, si rifiuta di aprirsi e di scattare, nonostante l’aiuto del vigilante presente nella cabina di guardia. La commedia degli equivoci comincia qui, con le frasi mozze che si scambiano la guardia, il nuovo assunto, un impiegato già inserito nell’azienda, amico del nuovo assunto, che si prodiga nel prestargli la sua tessera magnetica per fargli oltrepassare l’ingresso. Sulla spianata del parcheggio vuoto, di primo mattino, giacciono cornacchie morte, altre svolazzano sul bordo della terrazza dell’edificio. Una nonna premurosa chiama il nipote al cellulare, in continuazione, per sapere come sta andando il primo giorno di lavoro: “Bello di nonna, tutto bene? Sei arrivato?” “Com’è il posto? Che ti fanno fare?”. Lo sbigottito nipote sta raggiungendo nei sotterranei dell’edificio il suo posto di lavoro in completo isolamento, tra resti di cavi elettrici e polvere, incaricato di leggere una pila di spessi manuali.
Il punto di osservazione dell’autore si muove tra stanze e scrivanie, corridoi, mense. Una umanità residua nei protagonisti delle storie riesce a far emergere qualche bonario e caloroso saluto, espressioni di solidarietà nell’occorrenza; ma non manca il viscido accadimento di qualche atto di vigliaccheria.
Federico Platania non concede molto alla descrizione del pensiero dei soggetti, non dà filosofie esistenziali, lascia “vedere” le immagini, con ritmo scritturale secco, essenziale, comunque evocando parti e sceneggiate singolari, originali, tanto ridicole quanto drammatiche. Poveri cristiani in cerca di una solidale armonia con il mondo del lavoro. Nell’assenza di ciò che manca a questo mondo, tra le pareti dell’azienda, l’autore fa sentire il bisogno di altro umore, altra coesione esistenziale da ritrovare: la poesia dell’umano, che vuole composizione altra.
“Signori,” – sembra dire l’autore – “questo è il circo, questo sono io, questo è il lavoro a tempo indeterminato”.
Mi chiedevo, spesso, durante la lettura, poiché ne avevo avvertito la sensazione, dove, da quali tratti della scrittura fosse nata in me la percezione di qualcosa di poetico nel libro di Platania. Ebbene, procedendo tra le pagine, ho capito che la rarefazione, l’assenza di commenti prolungati alla riflessione psicologica dei protagonisti, è una invocazione ed una richiesta di valori etici: il dire fino ad un certo punto e poi nel non detto, nella mancanza, i valori da ritrovare e riconquistare, il gesto sensibile, l’espressione di ogni individuo nel manifestare percezioni liriche, sensibilità estetiche dello spazio e della parola.
L’accorgersi che nella bolgia dantesca le anime dei condannati hanno e danno sofferenza è l’apertura che toglie il velario e mira ad un migliore incantamento: l’equilibrio tra l’essere e l’avere, l’emozione positiva.
Lo scrittore pone gli accenti sulla logica e il buon senso, sottratti e deragliati dal “buon vivere”.
Verrebbe da dire che si piange con i personaggi e si ride con l’autore. In ogni storia funzionano diversi meccanismi che fanno scattare la comicità inserendo più effetti per volta, sorprendenti, che amplificano la tensione nei fatti o nelle parole e poi lasciano d’improvviso cadere la “corda” del racconto e della condizione umana dei soggetti, con lapidaria ironia.
Nel libro, vi sono giochi verbali futuristi, con suoni e rumori in scrittura, anche se le macchine e gli automatismi, gli strumenti di lavoro sono difettosi o non funzionano; sui personal computer ballano coccodrilli oltre ai messaggi, e la proiezione veloce delle comunicazioni resta spesso un miraggio.
E’ l’assurdo ad invalidare la rappresentazione formale della realtà. Federico Platania è regista imprevedibile; gli accenti di distorsione della realtà costituiscono il trampolino per le sue variazioni; egli scopre i teatrini, i bric-a-brac, i minimalia.
L’articolazione linguistica e la fantastica verve hanno la continuità letteraria dello stile di Achille Campanile, per tutto quello che è stato già detto; una scuola primariamente italiana della letteratura dell’assurdo. L’autorevole riferimento, senza andare lontano dalle patrie lettere, è già una motivazione per la nostra attenzione su questa prima opera di Federico Platania.
La scelta tematica di “Buon Lavoro” è di argomentazione molto attuale, problematica per le nuove generazioni. Il testo andrebbe inviato contrassegno a tutti i dirigenti aziendali (senza il pacchetto con la “quaglia morta”!!!).
Il giovane scrittore fa parte del gruppo culturale “I libri in testa”, i cui aderenti sono promotori di serate ed appuntamenti con letture dei testi di particolari autori (sito internet: www.ilibrintesta.it). Federico Platania cura personalmente anche un sito tutto dedicato a Samuel Beckett, in www.samuelbeckett.it).
Labels: critica letteraria, Mosciano Ettore, narrativa, Platania Federico, recensioni
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