LEONI Giulio "I Delitti della Luce" recensione di Ettore Mosciàno
“I DELITTI DELLA LUCE” di Giulio LEONI.
(Editore A. Mondatori - Omnibus, 2005, euro 17,00; poi Oscar Mondatori “bestsellers”, 2006, euro 8,80.
La grafica di copertina, accattivante e d’impatto, è di Andrea Falsetti. Azzeccata e significativa illustrazione è la luminescente trasparenza di un negativo del profilo di Dante, in celeste e argento).
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La strana morte dell’imperatore Federico II di Svevia avvolta nei disegni misteriosi degli eruditi personaggi della sua corte e di quelli ad essa esterni. Le discipline scientifiche, filosofiche e religiose nella corte imperiale più illuminata, quella palermitana, che prepara e studia un progetto tecnico-scientifico di grande ambizione: raggiungere “la luce di Dio”. Amici e nemici del principe e del potere papale . Molti tra essi sono a Firenze, cinquant’anni dopo, e tramano vendette. Si commettono vari delitti. Siamo nell’anno del primo giubileo e da Firenze transitano, per andare a Roma, molti strani “pellegrini”. Nelle taverne poco illuminate, e nelle chiese medievali, religiosi, filosofi e assassini.
Affascinante thriller e romanzo storico, visto con gli occhi indagatori di un personaggio unico: il sommo poeta Dante Alighieri, 35enne, nella Firenze del 1300, poco prima del suo esilio dalla città.
La città di Firenze, crocevia per il primo Giubileo di Papa Bonifacio VIII, è attraversata e frequentata nelle sue taverne e nei suoi vicoli, nelle sue chiese e nei conventi, da eruditi filosofi e religiosi, masnadieri e procacciatori d’affari, loschi figuri e assassini. Tutti desiderosi di portare a termine i loro scopi più o meno nobili.
La fede religiosa, severa e lucida dei pochi eletti, e l’arroganza mistificatrice, scientifica e filosofica, di altri. Tutti interessati ed annodati in un mistero iniziato dopo la morte poco chiara dell’imperatore Federico II : l’erudito principe “Stupor Mundi”, che aveva gettato le basi di uno stato laico, staccandosi dal Papato, aprendosi alle culture mediterranee diverse, forse il vero primo uomo del futuro Rinascimento.
Solo a Dante Alighieri, al grande autore ed architetto della ricostruzione storica e della poesia, della visione di una condizione umana e culturale di un’epoca così complessa, come quella medievale, poteva essere dato il compito di indagare in un romanzo come questo de “I Delitti della luce” di Giulio Leoni.
Giulio Leoni ha certamente familiarità culturale e storica con le diverse discipline trattate nel libro, se riesce così bene a calarci in atmosfere suggestive e far riemergere vivamente il carattere e l’intraprendenza, la ricerca della verità attraverso le azioni del sommo poeta, priore a Firenze con il compito di districare il bandolo della matassa.
L’autore de “I delitti della luce”, testo di straordinaria levatura compositiva, ed il poeta della Divina Commedia hanno in comune l’affabulazione e la visionarietà, la scrittura e l’architettura magica necessarie nel ricostruire un impianto narrativo così pieno di valore culturale e strategico.
Immersi, noi anche lettori, fino al collo, e presi dalle reminiscenze degli studi scolastici, dei personaggi incontrati nelle cantiche dantesche e in altri studi disciplinari di filosofia, storia e scienze matematiche e fisiche. Tutti i personaggi sono veramente esistiti.
Un paesaggio culturale di figure delle diverse razze e religioni, come quello composito di ricerca e scambio tra italiani e greci, ebrei ed arabi in area mediterranea, in epoca normanna e siciliana e del medioevo fiorentino.
Avvincenti incontri e quadri in quest’opera letteraria di Giulio Leoni: Guido Bigarelli, il “Magister Summus”, architetto e scultore dei morti alla corte imperiale di Federico II; Arrigo da Jesi, francescano, già professore di filosofia naturale alla facoltà di teologia di Parigi, ex insegnante di Dante, ora nel convento dei Domenicani in Santa Maria Novella, a Firenze; lo scozzese Michele Scoto, il primo degli scienziati della cristianità, alla corte di Federico II; Cecco Angiolieri, il poeta senese delle ingiurie e degli insulti, amante di bagordi e del gioco, il libertino insofferente di ogni legge, quello del “S’io fosse foco arderei lo mondo”; Jacques Monerre, francese di Tolosa, letterato proveniente da Venezia; rappresentanti della famiglia romana dei Colonna; il cardinale Acquasparta, voce del Papa Bonifacio VIII; il maestro Tinca, il più grande vetraio e costruttore di specchi per purezza di materiale e brillantezza: anche lui alla corte di Palermo, scomparso poco prima della morte di Federico II; Elia da Cortona, frate minorita e seguace ed amico fraterno di San Francesco, rifugiato presso la corte imperiale siciliana, scomunicato; le ombre sempre presenti della Inquisizione; le beghe dottrinarie tra domenicani e francescani…
In premessa del suo libro, Giulio Leoni ci riporta al 1240, nel giardino dei limoni della corte imperiale, a Palermo, dieci anni prima della morte di Federico II. Tra le fragranze dei fiori e le luci del tramonto, la brezza marina. L’erudito imperatore si intrattiene con l’astrologo di corte Guido Monatti, lo scienziato e filosofo scozzese Michele Scoto e frate Elia da Cortona. Si discute sulla rotondità della Terra e della sua sospensione, della lontananza dei cieli e degli astri, della distanza dalla luce di Dio. Ci si domanda: si può catturare l’immagine di Dio raggiungendoLo con uno specchio e un raggio di luce?
Una macchina capace di determinare il moto e la velocità della luce. Luce e distanza di Dio.
“Sapere è la misura del saggio. E sapere tutto è l’ambizione più nobile”, dice Arrigo da Jesi, maestro di teologia.
Dove costruire questo osservatorio e il marchingegno? Forse in un castello ben protetto da solide mura, a forma particolare, l’ottagonale Castel del Monte, in Puglia: la costruzione fortificata iniziata e restata indefinita dopo la morte dell’imperatore. Un grande progetto di architettura militare o anche una “dimora filosofale”?
Il principe Federico II, alcuni decenni prima, aveva intrapreso la sua crociata in Terra Santa, pur essendo già inviso al Papa e scomunicato, ottenendo Gerusalemme senza combattere, con un accordo e un patto di amicizia. Il sultano d’Egitto gli aveva regalato una coppa d’oro cesellata. Dalla stessa coppa Federico II berrà, dopo molti anni, i suoi ultimi sorsi. Un simbolico tragico richiamo a quell’accordo ed una punizione per la sua condotta ambigua, l’avvelenamento ventidue anni dopo?
Ciò che Federico aveva in mente, da abile diplomatico, era favorire e fondere in un unico sistema dottrinale le religioni e le filosofie diverse, gettando le basi di uno stato laico.
Poteva significare, questo, escludere la Chiesa dai poteri politici e territoriali dell’Impero?
La conoscenza scientifica, filosofica, letteraria e religiosa, e il potere imperiale di Federico II, doveva innalzare la piramide culturale per salire a Dio. Gli uomini per questo scopo erano tutti a disposizione nella corte. Qualcuno, però, riteneva l’opera diabolica.
Si voleva “chiudere la luce nel cerchio degli specchi per avere l’Oro della conoscenza”, dice ironicamente lo scettico medico Marcello. Ma se l’umanità non avesse questa aspirazione “sarebbe privata della sua dote maggiore, l’insaziata ricerca della verità. L’unica che la riscatta agli occhi di Dio”, risponde Dante nella Firenze del 1300, cinquant’anni dopo la morte dell’imperatore.
“Amore per la verità?!Spesso i cercatori di verità sono mal visti dall’Inquisizione “, replica il medico.
La Firenze medievale, è stranamente frequentata da molti uomini colti che erano alla corte di Federico II.
Il primo Giubileo a Roma, indetto da Bonifacio VIII, richiama tutti costoro per le ragioni dell’anima o perché alcuni di essi stanno tramando una terribile vendetta? Ai danni di chi e per quale motivo?
Una galea ritrovata abbandonata e rotta, bruciata, in secca nelle acque paludose dell’Arno, fuori porta. Gli uomini dell’equipaggio assassinati. Sono tutti? O qualcuno tra essi ha commesso i delitti e si è poi allontanato ? Ci sono pezzi di un oggetto complesso, una macchina strana, giunta con la galea a Firenze in compagnia della morte. Un segnatempo da torre, forse. O che altro?
Il grande scienziato al-Jaziri, il capo degli astrologhi di Damasco, misuratore delle stelle, si diceva fosse impazzito per aver scoperto i confini di Dio con l’astrolabio regalatogli dal sultano della sua città. Impazzito o nascosto, ucciso forse anche lui, appena prima che avvenisse la morte dell’imperatore Federico II.
A Firenze, il priore Dante, regolatore del potere esecutivo, viene chiamato dal bargello, il capo delle guardie, ad indagare sui delitti e sulla sconosciuta macchina. S’interrogano gli stranieri presenti in città, si scruta nella Taverna dell’”Angelo Caduto”, frequentata da pellegrini di transito per Roma, ma anche da loschi individui. Anche in questo luogo, inaspettatamente, si ripetono diversi omicidi. Alcune carte, pergamene, disegni vengono ritrovati addosso ai malcapitati avventori uccisi.
Il primo a morire, all’interno della cella di una vecchia torre, a Firenze, è l’ex-architetto di corte di Federico II, Guido Bigarelli, il “Magister Summus”.
L’aristocratico Guido Cavalcanti è già in esilio da Firenze per le sue beghe politiche, ma nelle sue terre, fuori città, un incendio di vaste dimensioni ha lasciato neri residui di mura in costruzione, a forma ottagonale. Le pergamene ritrovate sui corpi degli assassinati sono anch’esse disegnate con forme ottagonali, come il Castel del Monte in Puglia, la residenza dell’imperatore. Una ricostruzione del castello imperiale dislocata a Firenze? Voluta da chi? Perché ora viene incendiata?
Otto specchi, tanti quanti sono i lati della costruzione ottagonale, tutti di inarrivabile fattura, di purezza cristallina, inimmaginabili per spessore e lucentezza, sono arrivati di nascosto a Firenze. Dante li ritrova e li nasconde; consulta il maestro vetraio Arnolfo per conoscere l’identità di chi abbia potuto operare con tanta maestria nel realizzare quei materiali. Qual è la loro funzione ?
Solo il maestro Tinca, l’ex-vetraio dell’imperatore, anch’egli sparito misteriosamente, poteva forse sapere il segreto per fermare la luce negli specchi: “fermare l’ultima immagine, catturarla e fissarla sullo specchio” con un impasto alchemico di sali che componevano il vetro; “ponendo l’oggetto davanti al suo specchio per molte ore, in piena luce”.
Un castello ottagonale, otto specchi particolari, il riflesso di un’immagine da catturare. Gli astri? L’ultima luce? La prima e infinita? Dio?
Federico II e il suo ingresso trionfale, come re di Gerusalemme, dalla porta di Damasco, dopo l’avvenuta concessione a lui di quella terra da parte del sultano. Si era in presenza dello “Stupor Mundi” o dell’”Anticristo”?
Un allegoria sconcia, secondo Marcello il medico, ciò che aveva visto allora, cinquant’anni prima, e che ora racconta a Dante: l’imperatore Federico, in piedi, su un carro contornato da simboli ambigui, trainato da buoi coronati d’alloro, con al seguito schiavi incatenati. Federico reggeva con una mano la coppa d’oro e con l’altra la briglia di un centauro, cavalcato da un essere mascherato da Giano bifronte. Sette fanciulle con le fiaccole accese, seguite da sette anziani coronati e da altri sette coperti di segni celesti. Cinque donne lascive e velate, con le fiaccole spente, che circondavano tre uomini recanti ciascuno un libro. Una simbologia oscena o una allegoria della scienza e della sapienza alchemica?
A chi intendeva correttamente l’antica simbologia non poteva sfuggire il vero significato degli elementi e scambiare il sacro con il profano.
Un complesso teatro di eventi, richiami storici, erudizione, quello di Giulio Leoni.
Una lettura scorrevole e avvincente, in clima culturale di alto e significativo livello. Molti dialoghi ben coordinati, descrizioni e terminologie adeguate all’epoca ed agli ambienti in cui la narrazione si svolge tra misteri, documenti e macchinari.
Una trama fitta, valida e coerente, in cui i personaggi, ben caratterizzati, presentati attraverso le loro azioni, e funzionali al procedere della storia, si muovono in una catena di eventi ben sintetizzati in un filo logico.
Lo scrittore Giulio Leoni ha creato scene vive, con passaggi rapidi tra ambienti interni ed esterni, l’alternarsi di dialoghi e narrazione.
Il tutto viene fatto vivere al Sommo Poeta in prima persona, come rompicapo intellettuale, per intrigo e azione. La struttura narrativa viene delineata in sequenze quotidiane che l’investigatore Poeta-priore sviluppa nell’arco di tempo di una quindicina di giorni, nel caldo mese di agosto. Ritmo e toni che suscitano impazienza al lettore, ansia di andare avanti.
Discorsi diretti e monologhi interiori dei personaggi ci introducono nel loro modo di pensare; molte le riflessioni che passano nella testa di Dante, in “quadri” della vita sociale e politica del tempo, e che preannunciano e segnano, nella immaginazione del Poeta, i personaggi dell’opera immensa e sublime, la “Divina Commedia”, che egli scriverà pochi anni dopo, esiliato da Firenze.
Il meccanismo dell’autore è ben congegnato per sapienza e lettura storica. Una vera e pregnante scrittura narrativa per un lettore volenteroso, oggi, nella nostra epoca di così debole attenzione ai valori significativi della comunicazione e della cultura umanistica.
Non vi è solo ideazione nella scrittura di Giulio Leoni, ma idealità, valore finalizzato aggiunto nel contornare di bellezza l’impianto umanistico narrativo: un tassello del mosaico letterario di una dimora storica e filosofale.
Bisognerebbe invitare gli studenti a questa lettura prima di iniziare quella della “Divina Commedia”.
Leoni dice di essere amante della poesia e della materia esoterica, della astrologia e dell’illusionismo, delle avanguardie artistiche, delle culture al limite del conosciuto, degli spazi suggestivi. Sembrano tutti argomenti di un giuoco psicologico parodistico e paradossale, da “magicien”, come si potrebbe pensare riduttivamente. Non è così: dietro l’apparente sipario della manipolazione dei giuochi si percepisce un grande ingegno legato a diverse ed approfondite discipline.
Giulio Leoni ha già “impiegato” il Sommo Poeta, come investigatore, in opere precedenti :“I Delitti della Medusa”, con il quale ha vinto il Premio “Tedeschi”, nel 2000, e “I Delitti del Mosaico”, del 2004.
Con “I Delitti della Luce” l’autore chiude la trilogia in cui si ha per protagonista e investigatore il Poeta Dante.
Leoni è professore di storia e letteratura italiana. Collaboratore di riviste noir (“Il Falcone maltese”). Ha scritto libri gialli (“E trentuno con la morte…”, “La donna della luna”, entrambi nei “Gialli Mondatori”; quest’ultimo è ora di nuovo in libreria come “bestsellers”, sempre per le edizioni Mondadori).
Ettore Mosciàno
Castel del Monte ad Andria (Bari)
Labels: autori, Dante, esoterismo, Federico II, Firenze, giallo, Leoni Giulio, medioevo, Mosciano Ettore, normanni, romanzo, sicilia, spiritualità, thriller
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