Tuesday, February 28, 2006

PENSIERI, SCIENZA E FEDE - Citazioni



Albert Einstein
"Solo due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; e non sono sicuro della prima."

Platone (filosofo, 429 - 347 a.C.)
" Il sole non è che l’ombra di Dio ".

Galileo Galilei (1564 - 1642)
" Nelle mie scoperte scientifiche ho appreso più col concorso della divina grazia che con i telescopi ".

Keplero (astronomo, 1571 - 1630)
" Ti ringrazio, o mio Creatore e Signore, di tutte le gioie che mi hai fatto gustare nell’estasi in cui mi ha rapito la contemplazione delle opere delle tue mani ".

Leibniz (scienziato e filosofo, 1616 - 1715)
" Ogni creatura rispecchia il Creatore ".

Newton (matematico e fisico, 1643 - 1723)
" Questa notte io fui assorbito dalla meditazione della natura. Ammiravo il numero, la disposizione, la corsa di quei globi innumerevoli.
Ma ammiravo ancor più l’Intelligenza infinita che presiede a questo vasto meccanismo. Dicevo a me stesso: Bisogna essere ben ciechi per non restare estasiati a questo spettacolo, sciocchi per non riconoscerne l’Autore, pazzi per non adorarlo ".
" L’uomo che non ammette Dio è un pazzo ".

Linneo (medico e naturalista, 1707 - 1778)
" Il Dio eterno, il Dio immenso, sapientissimo, onnopotente, è passato dinanzi a me. Io non l’ho veduto in volto... ma ho visto le tracce del suo passaggio ".

Buffon (naturalista, 1707 - 1788)
" Quanto più penetro nel senso della natura, tanto più profondamente rispetto il Creatore ".

Diderot (scrittore e filosofo, 1713 - 1784)
" L’occhio e l’ala di farfalla bastano per annientare un ateo ".

Ampère (fisico e matematico, 1775 - 1836)
" Scrivi con una mano sola; con l’altra tieniti aggrappato alla veste di Dio, come un bimbo si tiene alla veste del padre! Senza questa precauzione ti sfracelleresti immancabilmente contro una roccia ".

Hans Christian Oerstedt (fisico, 1777 - 1851)
" Noi non siamo niente al confronto con Dio; ma siamo qualcosa per mezzo di Dio ".

Cauchy (matematico, 1778 - 1857)
" Se non ammettiamo l’esistenza di Dio come cristiani, dobbiamo ammetterla come matematici ".

Faraday (chimico e fisico, 1791 - 1867)
" La notizia e il rispetto di Dio giungono al mio spirito attraverso vie così sicure come quelle che ci conducono alle verità nell’ordine fisico ".

Justus Von Liebig (chimico, 1803 - 1873)
" La grandezza e l’infinita sapienza del Creatore del mondo la riconosce solo colui che si sforza di comprendere i suoi pensieri nell’infinito libro della natura "

Giuseppe Mazzini (1805 - 1872)
" Chi può negare Dio di fronte ad una notte stellata, davanti alla sepoltura dei suoi cari, davanti al martirio, è grandemente infelice o grandemente colpevole ".

Pasteur (biologo, 1822 - 1895)
" Più studio e più acquisto la fede del contadino ".

Henri Fabre (entomologo, 1823 - 1915)
"Mi sembra di dire troppo poco affermando di credere in Dio: io dico che lo vedo. Senza di Lui io non vedo nulla, senza di Lui tutto è tenebre.
Questa convinzione non solo l’ho conservata studiando, ma l’ho resa sempre più evidente e migliorata... Per me l’ateismo è una stravaganza... Ma io mi lascerò strappare la pelle prima che la fede in Dio ".

Tolstoj (romanziere russo, 1828 - 1910)
" Quell’infinito che ti circonda e su cui ti trovi, le leggi di questo infinito ti parlano di Dio. Dire che non lo vedi è fare come lo struzzo che nasconde il capo sotto le ali per non vedere ".

Edison (fisico, 1847 - 1931)
" Sono un uomo che ammira tutti gli ingegneri dell’universo, e che ha profonda ammirazione per il più grande di tutti, che è Dio ".

Johannes Reinke (biologo, 1849 - 1931)
" Quanto più profondamente penetriamo nel meccanismo della natura, tanto più grandioso ci si presenta da lontano, dalla sfera metafisica, il riflesso della divinità ".
Max Planck (fisico, 1858 - 1947)
" Religione e scienza non si escludono, ma si completano e si condizionano a vicenda. E la prova è rappresentata dal fatto che proprio i più grandi scienziati di tutti i tempi erano penetrati da profonda religiosità ".

Eberhard Dennert (botanico, 1861 - 1924)
" La natura è un’opera d’arte... O Dio, grande artista del mondo! Io stupìto ammiro le opere delle tue mani ".

R. A. Millikan (fisico, 1868 - 1953)
" Il materialismo è una filosofia assurda e irrazionale e credo che in realtà sarà considerata come tale dalla maggior parte degli uomini che riflettono ".

Carrel (cancerologo, 1873 - 1944)
" L’uomo ha bisogno di Dio come dell’acqua e dell’ossigeno ".

Guglielmo Marconi (fisico, 1874 - 1937)
" Credo nella potenza della preghiera come cristiano e come scienziato".
" La scienza è incapace di dare la spiegazione della vita; solo la fede ci può fornire il senso dell’esistenza: sono contento di essere cristiano ".

Friedrich Von Huene (geologo - paleontologo, n. 1875)
" Questa lunga storia della vita che gradualmente si perfeziona è proprio la creazione del mondo vivo. E’ l’attività di Dio, che tutto programma e prepara, guida e porta ".

Albert Einstein (fisico, 1879 - 1955)
" L’opinione corrente che io sia un ateo si basa su un grosso errore. Chi la deduce dalle mie teorie scientifiche, non le ha comprese ".
" La mia religione consiste nell’umile adorazione di un Essere infinito spirituale di natura superiore che rivela se stesso nei piccoli particolari che noi possiamo percepire con i nostri sensi deboli e insufficienti ".
" La scienza senza la religione è paralitica; la religione senza la scienza è cieca ".
" Senza la religione l’umanità si troverebbe oggi ancora allo stato di barbarie... E’ stata la religione che ha permesso all’umanità di progredire in tutti i campi ".
" Credo in un Dio personale, e posso dire con coscienza che nella mia vita non ho mai accondisceso ad una concezione ateistica ".

Bernhard Bavink (matematico e filosofo, 1879 - 1947)
" Chi ha capito anche solo un poco della fisica moderna, è immunizzato contro l’assurdità del materialismo ".

Francesco Severi (matematico, 1879 - 1961)
" La mia più alta conquista è stata la fede ".
Pende (medico biotipologo, n. 1880)
" Senza la luce della dottrina di Cristo, i problemi fondamentali della natura umana sono insolubili dalla scienza. Senza tale luce la scienza è senza pace ".

Pierre Lecomte Du Nouy (biologo, 1883 - 1947)
" Un gran numero degli scienziati moderni sono credenti... Il materialismo è scientificamente insostenibile ".
"... L’unica salvezza dell’umanità sarà da ricercare nella religione ".

Erwin Schrodinger (fisico, 1887 - 1961)
" Gli elementi costitutori dell’essere vivente non sono opera umana, ma il più bel capolavoro mai compiuto da Dio, secondo le linee della meccanica quantica ".

Robert Nachtwey (filosofo e naturalista, 1893 - 1964)
" In tutte le creature della terra scopriamo la potenza di uno Spirito pensante e inventore, la cui attività si svolge instancabile ".
" ... Dopo 75 anni di lavoro incessante la scienza deve ammettere che tutte le formule della teoria del "caso" fanno pietà ".

L. Fantappiè (matematico, 1901 - 1956)
" La scienza che era materialistica nel secolo passato, si è andata sempre più spiritualizzando, fino a diventare oggi la migliore alleata della fede ".

E. Medi (fisico, 1911 - 1974)
" Guardando la natura nei suoi aspetti più grandiosi e nelle sue costruzioni più profonde e minime, si sente un Pensiero che opera nelle cose, esistendo purissimo per se stesso ".
" ... Dalla Luna si vede lo spettacolo più stupendo del creato, si vede la terra, fulgida impronta di Chi tutto muove ".

Von Weizsacker (fisico teorico, n. 1912)
" Il tempo del conflitto tra fede e scienza è ormai passato ".

Giuseppe Caronia (medico)
" Nei momenti della sofferenza soltanto la presenza di Cristo mi ha dato e mi dà la forza di continuare la buona battaglia ".

Joseph Meurers (astrofisico e filosofo)
" Non solo non è vero, ma è volutamente falso, una menzogna, dire che la scienza, in particolare le scienze naturali, hanno dimostrato che Dio non esiste ".

Karl Willy Wagner (ingegnere e filosofo)
" I più grandi pensatori di tutti i tempi furono profondamente credenti... E come potrebbe essere diversamente?... Non solo la natura ci rivela lo Spirito di Dio, ma nell’uomo stesso e e nelle sue opere, nonostante tutti gli errori, le tentazioni e i peccati cui siamo soggetti in conseguenza della nostra imperfezione ".

Rainer Schubert-Soldern (zoologo, botanico, paleontologo)
" La vita deve la sua esistenza ad un Principio che è estraneo alla materia; il carattere finalistico del processo vitale fa capire che la Causa del principio vitale ha concepito la vita finalisticamente... ".

Heinrich Vogt (astronomo)
" Io credo in una potenza superiore soprannaturale, in un Dio, come artefice, portatore e conservatore del mondo ".

Max Hartmann (biologo)
" I risultati della scienza più evoluta, la fisica, non sono minimamante in contraddizione con la fede in una Potenza che è dietro e sopra la natura e la governa ".

Andrew Conway Ivy (fisiologo e cancerologo)
" C’è un Dio? Sì, sono sicuro che c’è un Dio, come sono sicuro di qualcosa d’altro. Sono certo che c’è un Dio come sono sicuro che io esisto. ".

A. Cressy Morrison (fisico americano)
" Le nuove conoscenze fanno ancora posto ad un’intelligenza effettivamente operante dietro i fenomeni della natura... Senza la fede la civiltà crollerebbe, l’ordine si muterebbe in disordine... Il male regnerebbe indisturbato nel mondo ".

T. D. Parks (chimico)
" Io vedo ovunque intorno a me ordine e determinazione nel mondo organico. Non posso credere che essi esistano per casuali fortunate combinazioni di atomi! Per me questo piano presuppone un’intelligenza; quest’intelligenza la chiamo Dio... ".

A. L’Arco
" Se Dio non c’è, tutto è lecito " profetizzò un secolo fa Dostojevskij.
La nostra generazione sta sperimentando sulla carne viva questa amara verità ".

Su una meridiana di Nola
"Senza sole nulla sono io; senza Dio nulla sei tu ".




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4-ARTE E LINGUAGGIO – ALTERARTE di Ettore Mosciàno.



Anomia e clinica dell’arte.

Nell’arte, la filosofia estetica come conoscenza e percezione del sensibile (effetti prodotti sugli organi di senso) ha sempre più assunto, nel corso dei secoli, valori di una teoria della conoscenza intellettivo-cerebrale, cioè di una filosofia della logica. E’ indiscutibile che a creare questo “equivoco”, ed a perpetuare nella cultura attuale questa sana “ambiguità”, abbiano incisivamente contribuito prima di tutto le poetiche degli artisti, l’iconografia delle loro opere e, successivamente, l’interpretazione in chiave filosofica, sociologica, psicologica da parte dei critici e dei letterati in genere.
Come nelle più alte sfere delle filosofie esoteriche, l’accidentalità della critica estetica giunta al culmine della sua crisi espressiva, crisi attuale, crisi del fantomatico o dell’apparente morte dell’arte, mostra il segno di una poco convincente e probabile rinascita come “logica dei fenomeni”. “Logica della energia intellettiva-trasformatrice” con la quale tutto è possibile, in arte, poiché tutto ciò che accade fa parte di questa umanità. L’arte, allora, diventa universale perché “descrivendo” la fenomenologia “tocca” il complesso delle problematiche umane.
L’imitazione delle forme, l’immaginazione, la trasposizione, l’astrazione, l’informe, la concretizzazione oggettuale (body art, land art, pop art, ecc.) creano il complesso di quei fenomeni espressivi che hanno spalancato alla “clinica dell’arte”. La clinica, in questo senso, acquista valore di laboratorio di probabile diagnosi e di maneggio sull’opera d’arte.
Accade, però, oggi, che nella produzione clinica e nel maneggio non si trovi memoria o che vi sia un eccesso di codici memoriali, per cui la dichiarazione intenzionale dell’artista e l’interpretazione critica siano sempre più improbabili, per identità non completamente definibili e delimitabili col tempo e, quindi, l’opera rimane aperta a più diagnosi, in quanto senza nominatività e nomenclatura, senza regole e senza legge; cioè è nell’anomia: prodotto che resta nella clinica, fantasma irriverente, preoccupante.
Nessuno ha l’ardire di “ridefinire” l’arte. La descrizione fenomenologia dell’arte nella clinica non ha più virtù canoniche e, d’altra parte, le enunciazioni fenomenologiche sono strade irte di nuovi pericoli, per il loro riferimento socio-culturale onnicomprensivo, sia da parte degli artisti sia da quella dei critici e dei filosofi. La clinica è invasa da casi di (apparente) ipotetica patologia. Questi casi “si esprimono” con uno stile; lo stile è maniera e tecnica dell’espressione clinica.

I prodotti dell’espressione clinica hanno, tuttavia, forme diverse: la figurazione sensibile, la trasfigurazione del sensibile (metafisica), la forma di una pura fantasia (l’informe) (forma non ancora codificata: ma fino a quando? Il matematico francese Mandelbrot con lo studio dei frattali – le forme rotte – che non si rifà più alla geometria euclidea, porta già avanti da qualche anno una teoria sullo studio dell’informe) ed ancora la forma oggettuale in situazione o in azione (installazioni e comportamenti).
Intendiamoci, nella clinica non si parla sempre la stessa lingua, anzi, per molti “casi” il linguaggio è assente: la parola della forma, per molti artisti delle ultime generazioni, è un’espressione sterile.
L’interpretazione cronologico-storica delle espressioni artistiche qui non interessa; essa non è che uno dei tanti modi, e neppure il più valido, per comprendere l’arte. Non c’è nessun vantaggio nel restare confinati in cicli e settori culturali che si succedono nel tempo (come in trance o in sogno) durante l’analisi fenomenologic a. Si vive solo simultaneamente su piani paralleli in tutti gli schemi culturali, pur restando coscienti.
Roma, ottobre 1985




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3-ARTE E LINGUAGGIO – ALTERARTE di Ettore Mosciàno.



Come aprire una bella cassaforte dopo il passaggio di Malevic e Reinhard. Il coraggio dell’arte. Panergeia evoluzionistica.


Ciò che ha senso (cognizione) e ciò che fa senso (percezione): questo è il problema!
Il corpo ineffabile dell’arte, l’indicibile e l’indescrivibile hanno avuto loquacità e scritture cortigiane e cortesi. La volontà di partecipazione del critico e dello spettatore richiede il “Risveglio di primavera”.
Dopo il “Quadrato nero su bianco” di Malevic e il “Nero su nero” di Reinhard, l’impasto cromatico è azzerato. Il colore rinasce puro, nella sua semplicità cromatica elementare, come espressione gestuale archetipica. La tela, nella sua semplice tessitura, torna ad essere il fondo naturale come le primitive superfici rupestri; ovvero dal nero riemergono le luminosità cromatiche come dal magma primordiale, ma la composizione pittorica è spoglia della sovrastruttura delle tecniche pittoriche e delle filosofie estetiche. La notte esce dallo sfondo e si installa nel quadro, che diventa la scena di una specie di lotta manichea tra luce e tenebre ed in cui l’artista ricorda allo spettatore ciò che consciamente e inconsciamente egli sa dell’altro mondo dietro la sua mente. Paesaggi visionari, articolati al di là di tutto ciò che la natura mortale possa produrre, sono infinitamente più perfetti e minutamente organizzati di qualsiasi cosa vista ad occhio mortale. (La natura ad una distanza media è familiare, tanto familiare da ingannarci a credere che davvero sappiamo che cosa ci circonda).
Si ricorre a visioni lineari di semplificazione, di sintesi e chiarezze dei fenomeni, ampiezze serene. Le apparenze sono solo simboli di una realtà che sta altrove. Metafore e corrispondenze sono legate da un filo poetico che “abbraccia” il mondo, nell’equilibrio fra una pura astrazione pensata ed il fenomeno della manifestazione apparsa. La nuova poetica dell’arte contemporanea associa i simboli del vocabolario universale dell’attuale incombente trasformazione tecnologica e scientifica. L’universalità delle energie latenti e trasformatrici, presenti nel cosmo, è la nuova filosofia esistenziale del pittore, la sua profonda intuizione, la molla che tutto muove, la veggente energia ed ironia che collocano la sua mente nel futuro.
L’astrazione simbolica di trasfigurazione viene espressa sulle funzioni dei fenomeni impalpabili, nell’essenzialità dei valori che comprendono i sistemi complessi della macro e della microenergia.
Il significato esistenziale, nell’artista, non è più dato da una interpretazione rivoluzionaria e romantica del mondo; il soggettivismo esasperato della rappresentazione estetica è universalizzato attraverso lo studio delle nuove scienze informatiche, dell’astronomia, della bioingegneria genetica, delle particelle subatomiche prive di massa (presenze ombra ineffabili per la scienza), ma pur sempre costituenti un sistema di forze-energie nell’universo che tutto muove e da cui tutto ha origine e fine.
Così, la materia e l’impasto cromatico diventano, allora, aerei; la leggerezza dei colori sta nella loro purezza naturale.
L’azzardo, il rischio ed il pericolo della nuova arte stanno negli accostamenti cromatici resi liberi da qualsiasi poetica e nel non rispetto degli equilibri tonali delle filosofie estetiche storiche. Il mistero di penetrare nel non conosciuto sta nell’esporre con semplicità e sintesi le nuove immagini mentali, rendendo quasi reale l’astratto, per una consapevolezza di contenuti scientifici.
L’informe e l’astrazione non sono più, quindi, pura fantasia ed immaginazione ma tendono ad esprimere il corpo di una natura latente: la realtà organizzata ma interna di una composizione materia dell’universo.
L’astrattismo ed il simbolismo informale, storicamente fermi ad un atto di ribellione estetica e ad una confusa cultura scientifica delle discipline chimico-fisiche (da microscopio casalingo), potranno essere superati con la nuova arte dopo un approfondito studio di tali discipline. Se l’astrattismo simbolico e l’informale hanno scavato tra le energie più riposte della materia, tanto da aver toccato ed incontrato sorprendentemente il naturalismo (la correlazione astrattismo-naturalismo, anzi la loro identificazione, è dovuta all’analisi da parte di Jung sulla pittura moderna e contemporanea) vi è bisogno, oggi, di ripartire da tali astrazioni naturalistiche, ancora piene di meravigliose e conturbanti incognite, per inventare la nuova arte e il nuovo spirito artistico.
L’azzardo interpretativo di questa nuova realtà è tuttavia un rischio che vale la pena di correre, in senso artistico ed esistenziale, con una disposizione d’animo alla Feyerabend.
Qui non si tratta di mandare la fantasia al potere semplicemente per un atto di pura immaginazione colorata o di rivolta estetica per crisi socio-politiche (alla Marcuse), ma trovare le basi e gli orientamenti di rinascimento umanistico e scientifico tra i linguaggi multimediali, tra le velocità (energia) degli scambi e delle comunicazioni, nel nuovo ruolo che la mente dell’uomo ha di fronte al complesso sistema del fare programmato e all’inconoscibile prospettiva delle possibilità trasformistiche del fare computerizzato programmabile.
A tal punto, bisogna sensibilizzare e far riemergere l’occhio interiore, per non subire un processo di strumentalizzazione, affinché ci si riappropri degli stati puri di transvitalità e perché tutti i nostri sensi coabitino ed interagiscano nel fare pittorico, senza decadimento per interferenze esterne dovute a contingenze materiali ed alle norme.
Il “villaggio globale” di Mac Luhan, a questo punto, non susciterà più il timore di un ritorno all’Eden, al tribale. La geometria euclidea sarà rivoluzionata da una geometria elettrica. Lo studio per definire l’informe, ad opera di Mandelbrot, darà nuovi codici di lettura alle forme attualmente non definibili dalla limitata geometria euclidea. L’olografia e lo studio dello spazio a 10 dimensioni hanno aperto affascinanti, ed ancora misteriose, possibilità sia alla scienza sia al fare artistico. Quanti se ne rendono co0nto? Chi esprime questa cultura tra gli operatori del colore? Quanti galleristi e collezionisti sono interessati a percepire lo schiudersi della nuova arte verso queste frontiere? (La scoperta dell’energia elettrica, agli inizi del secolo, fu temuta come fosse una diavoleria. Vogliamo far riemergere le stesse perplessità e gli stessi fantasmi?).
La nuova arte dovrà fare i conti con gli sviluppi delle nuove scienze (non potrà ignorarle), mantenendo la sua originalità creativa e fantastica, senza divenire scientistica.
L’abitudine tecnica di lavoro, nel fare artistico, oggi, è la più deleteria tra le espressioni nella comunicazione sociale.
Le composizioni informali che “giocano” sulla materia e rimpastano materiali non hanno più senso, attualmente, se non mirano a superare ciò che è solo struttura di superficie del sapere scientifico. La mancanza di cultura scientifica costringe spesso l’artista, presuntuosamente, ad esaminare solo ciò che produce il suo orto, nascondendosi dietro pretestuosi atteggiamenti di silenzio, di comportamenti pazzoidi e di pretese autonomie di libertà.
L’arte non può essere più basata sull’estetica della percezione visiva (in questo la pittura è stata da tempo superata dall’immaginazione esplosa dai disegni cromatici dei tessuti di abbigliamento).
La nuova arte deve rispondere culturalmente, con una capacità percettiva e interpretativa profonda, a questo patrimonio di conoscenze universali, se vuole non essere, nel futuro, copia-copiata della grafica computerizzata.
Roma, febbraio 1986.




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2-ARTE E LINGUAGGIO – ALTERARTE di Ettore Mosciàno.



Arte tra‘Zero’ e ‘0’. Identificazioni plurime nelle pulsioni dell’arte
contemporanea del XX secolo. Paradossi di coscienze parallele. Segno e gesto.

L’arte, nell’epoca attuale, è un ente dissonante; essa si “muove” tra la meraviglia del reale e l’angoscia, in rappresentazioni ontologiche e culturali che nascono dalla silente energia dell’anima del mondo, il neuma-aria, la pulsione fantasmatica. Da questo apparente vuoto-energia le immagini archetipiche vengono richiamate alla memoria e si associano con e senza sequenze logiche, utilizzando coscienze parallele.
L’intuizione è la molla che ci porta ad una concezione del mondo che è molto simile a quella dei mistici di tutti i tempi e di tutte le tradizioni; e le intuizioni non possono essere comunicate razionalmente e dichiarate a priori, perchè nate da una esperienza della realtà totalmente non intellettuale: esperienze che nascono da uno stato di coscienza non ordinario.
Lo psicologo William James dice che: “La normale coscienza dello stato di veglia, che chiamiamo coscienza razionale, è soltanto un tipo di coscienza particolare, mentre tutto intorno ad essa, separate da schermi sottilissimi, esistono forme potenziali di coscienza completamente diverse”. Quella dell’artista è una posizione virtuale in cui le intenzioni rivolte al bene comune portano anche la memoria storica del male, e quindi, la messa in opera delle immagini archetipiche tendono a risolversi in un equilibrio dinamico tra questi due estremi delle passioni umane. Di solito, se si vuole imparare qualcosa di veramente profondo, bisogna studiare i fenomeni non nella loro forma “normale”, regolare, consueta, ma nel loro stato critico, negli stati irregolari delle eccezioni, dei controesempi, delle deformazioni concettuali ed anche, intimamente, in un momento di febbre e di passione.
L’esperienza personale, in tal senso, porta l’espressione artistica ad essere radicalmente empirica e sperimentale. Solo in un secondo momento tale esperienza può arricchirsi ed essere approfondita in termini dialettici, ma questa seconda fase è indipendente dall’espressione fenomenica primaria.
La conoscenza, come elaborazione di un sistema di segni, si configura allora, come un’analisi generale di ogni forma di pensiero attraverso l’estrapolazione di percezioni sensoriali e di astrazioni che devitalizzano le realtà apparenti, di superficie. Il risultato di questi processi è un universo di segni, una lingua che scompone, annulla e riunifica in un gioco combinatorio mentale che si affianca alla fisicità del corpo, del gesto; ma l’arcaica somiglianza dei segni con le cose, il loro potere di evocare le analogie e di innescare movimenti di simpatie e corrispondenze su tutti i piani del sensibile e delle note culturali, fanno sì che i segni rientrino nella sfera della comunicazione astratto simbolica niente affatto neutrale.
Fare arte sollecitando coscienze parallele, quindi, significa esercitarsi a guardare, pensare ed immaginare oggetti e fenomeni in una situazione critica, paradossale. Il paradosso mette in luce le incongruenze che nascono nella comunicazione verbale e nelle immagini di figure già date, mostrando tutti i limiti di una identità psichica di massa e di un comportamento di assuefazione.
Il fisico, premio Nobel, Niels Bohr, così si esprime: ”L’enorme ampliamento della nostra esperienza, verificatasi negli ultimi anni, ha messo in luce l’insufficienza delle nostre ingenue concezioni meccanicistiche e, di conseguenza, ha scosso i fondamenti su cui si basava l’ordinaria interpretazione dei fenomeni osservati”. Il discorso, trasferito sul piano artistico ed estetico, è quanto mai valido. Non a caso oggi l’arte “viaggia” su posizioni contrastanti se anche nella fisica delle particelle subatomiche gli scienziati si trovano di fronte a fenomeni inspiegabili con la logica delle leggi conosciute ed evidenziano il ricorso a concetti paradossali; tanto che lo scienziato Fritjof Capra, che ha consacrato la sua attività al campo delle alte energie ed allo studio sulle implicazioni filosofiche della scienza moderna, parla addirittura, con evidente ragione, di un “taoismo della fisica” e (oltre a far cenno a questo ritorno ciclico di parentela tra mistica esistenziale, scienza e natura, che non si verificava più da secoli) fa notare anche l’attuale esistenza di una difficoltà, tra scienziati, a poter spiegare con la logica corrente del linguaggio comune i fenomeni nuovi osservati nelle recenti scoperte.
L’artista, in genere, si avvale di diversi studi e conoscenze culturali quando dalle sue pulsioni mentali evidenzia l’opera sulla tela; quindi un possibile spettatore non dovrebbe stupire “del nuovo e del diverso” ma riflettere sulle sue conoscenze culturali e trovare occasione di umano confronto dall’altro da sé. Spesso si è notato come esperienze e valori che avevamo creduti sempre contrari siano, in definitiva, e paradossalmente, aspetti differenti della medesima cosa. In questo senso, il paradosso, l’assurdo, l’ironia sono veicoli artistici che deviano l’opinione comune ed ampliano le facoltà intuitive e la riflessione sulle condizioni della propria esistenza. L’artista, come il fenomenologo, sospende i rapporti di giudizio e di relazione esistenziale creando un vuoto nei valori etici e non, nelle osservazioni mentali, mette in parentesi l’atteggiamento naturalistico e scioglie i vincoli del reale; nega, e al limite annulla, non per perdere il reale ma per ridarlo sotto altro indice, come una logica del possibile. Da questa attenta astrazione, vuoto “dinamico”, l’evento artistico diviene atto, corpo, e si fa persona, io. I segni organizzati hanno il loro senso immanente non a livello intellettivo ma nella potenzialità progettuale del fare creativo, originale, della danza del proprio corpo nel farsi segno, disegno, ritmo.
Bergson invita a non considerare il reale come generato dal possibile, ma a considerare il possibile come generato dal reale e come qualcosa più del reale. L’arte, per questo, non è informazione codificata e linguisticamente strutturata, ma comunicazione “tout court”. Il risultato estetico, per ogni artista, è il prodotto di un processo manuale e di correlazioni psichiche a vari livelli culturali, percettivi, esistenziali e fantastici.
Una estetica preordinata o definita, quindi, è solo un substrato indicativo su cui muoversi e riflettere, quando c’è; ma non c’è poetica artistica o estetica che possa definire in maniera duratura l’arte e l’opera d’arte (la storiografia insegna), perché esse sono espressioni e concetti “in divenire”, continuamente in moto e in trasformazione, antropologicamente in vita e vitali per esigenza dei comuni mortali e degli operatori.
Il paradosso nega e nullifica e diventa filosofia esistenziale, un metodo espressivo per cui si passa come per una via d’uscita, per andare oltre l’identico, verso una liberazione da ciò che è già dato; un mondo inedito, come nascita del possibile e del probabile per ricostruire un nuovo legame sociale; è anche un grido di disperazione contro la permanenza sentita nell’area di una cultura stretta, istituzionalizzata e normalizzata, contro l’indifferenza e l’abulia.
In questo senso, il mio lavoro artistico sul linguaggio iconografico paradossale attua un possibile rapporto con il resto dell’umanità.

Roma, aprile 1986.




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1-ARTE e LINGUAGGIO – ALTERARTE - di Ettore Mosciàno.



Il linguaggio trasformazionale delle arti.

In un processo di trasformazione e di sistemazione i due stadi dell'ordine e del disordine si equivalgono (fluttuazioni, diversificazioni, perturbazioni).Nel processo semiotico (in cui qualcosa funziona da segno) il segno è un oggetto
che ha la funzione di richiamarne un altro.
Non c'è nessun essere vivente che si serva di segni quanto l'uomo, anche se il "comportamento dei segni" non è esclusivamente della specie umana. Il filosofo americano Ch. Morris afferma che la civiltà umana riposa su segni e su sistemi di segni. L'attività dei segni si identifica addirittura con ciò che si chiama "mente" o "ragione", secondo le tendenze dominanti della filosofia e della psicologia contemporanee. In pittura, così come nelle altre espressioni artistiche, come la musica, la danza, la poesia, i segni dei rispettivi e particolari linguaggi non formano quasi mai una combinazione corretta dal punto di vista strutturale (semantico) in quanto non hanno un "sema" comune alla logica linguistica corrente, convenzionale; ed anche tra le stesse arti la creatività e l’originalità inventiva ricorrono ad associazioni del pensiero extra razionali, surreali, anche se altrettanto vere e reali, dove il linguaggio strutturato entra ben poco.
L'espressione artistica assume allora un aspetto semantico anomalo o di grammatica trasformazionale, ideativa, in cui vengono evidenziati i processi associativi di un linguaggio particolare. I segni costruiscono una figurazione probabile, con o senza il modello; essi sono indizi da cui si può dedurre qualcosa; un concentrato di ciò che nella sua molteplicità di aspetti, nei suoi significati nascosti, nella sua capacità di dilatazione, siamo in grado di fissare in un quadro, in una poesia, in un brano musicale, solo come "frammento"; ed i frammenti "vivono" in uno spazio ed in un tempo in cui l'occhio e la mente si sono dilatati, senza contorni conosciuti e preordinati, come CIFRA PERSONALE nel vuoto e nel nulla. (Il termine cifra viene dal latino medievale "cifra", dall'arabo "sifr" e dal sanscrito "çunia" e significa "vuoto, nulla, zero").
L'alterità della grammatica trasformazionale dei segni è sinonimo di diversità e si oppone al concetto di identità. Il problema del riconoscimento di altri soggetti, di altre coscienze oltre la propria, è quindi un problema di comunicazione. Modalità della comunicazione (linguaggio modale) è quella che coinvolge i livelli profondi in cui l'io più intimo è nella sua completezza ed allo stato puro; ed è in questo stato, di pulizia da artifici culturali e passionali, che è possibile la comunicazione con altre coscienze, altre culture.
Per il matematico francese Mandelbrot (studioso dei frattali) "il reale è una nuvola polverosa, di cui la scienza classica e la tecnologia hanno descritto solo simulacri, definiti e terminati, normalizzati e purificati"."Le cose forniscono all'arte solo il materiale grezzo, gli elementi che essa sposta, scioglie, ricostruisce secondo la propria legge. Attraverso le trasformazioni l'arte dà alla realtà empirica ciò che le spetta, l'epifania della sua essenza nascosta e il meritato orrore di essa. In questo processo, chi agisce veramente non è la persona privata, l'io empirico, l'uomo singolo nella sua particolarità: ma un io spirituale che è in realtà un "noi", perchè in esso agiscono tutti i rapporti sociali in cui l'artista si trova a vivere" (così scrive il filosofo Nicola Abbagnano in "Questa pazza filosofia" -1979-, commentando la "Teoria estetica" di Theodor W. Adorno).L'artista è un grande informatore, nel peggiore dei casi un pettegolo, nel migliore un saggio, che fa da mediatore tra la filosofia, la teologia, la scienza da un lato e il comune mondo umano dall'altro. La sopravvivenza e lo sviluppo dell'uomo sono legati soprattutto alla memoria che permette di conservare l'esperienza passata e di prevedere e progettare quella futura. E la memoria agisce per "astrazione" scegliendo tra gli elementi di una situazione quelli che la caratterizzano meglio. Ora, l'astrazione dà luogo a probabili linguaggi (espressioni di segni) che costituiscono nello stesso tempo il rapporto su una esperienza-cultura passata ed una possibile guida futura.
In Baudelaire, "astratto" significa prevalentemente "intellettuale", nel senso di "non naturale", cioè un concetto di una fantasia illimitata il cui equivalente sono le linee e i movimenti liberi dall'oggetto. Le linee ed i movimenti sono chiamati da Baudelaire "arabeschi" ed essi sono i più ideali di tutti i disegni. Grottesco ed arabesco erano stati accostati tra loro da
Novalis, Gautier e Poe. Baudelaire li accosta ancora di più.
Nel suo sistema estetico, grottesco arabesco e fantasia sono strettamente connessi: la terza è la capacità di movimenti astratti, vale a dire liberi dalle cose, dello spirito libero; i primi due sono il prodotto di queste capacità.Il concetto di arabesco, della linea libera, si collega al concetto del "periodare poetico". Questo, come scrive Baudelaire in un abbozzo di preparazione per "Les Fleurs du Mal", è una pura sequenza di accenti e di movimenti, può formare una linea orizzontale, una linea ascendente, una linea discendente, una spirale, uno zig-zag di angoli sovrapposti; e proprio così la poesia è in contatto con la musica e la matematica.
Il paradosso dell'affermazione di Baudelaire : "Il poeta è l'intelligenza più alta e la fantasia è la più scientifica di tutte le facoltà" non apparirà oggi meno paradossale di allora. Il paradosso è nel fatto che proprio quella poesia che evade nell'irrealtà, dinanzi ad un mondo scientificamente decifrato e tecnicizzato, pretenda nella produzione dell'irreale quella stessa intelligenza e compiutezza progettuale riconosciuta alla scienza e alla tecnica e per le quali la realtà è divenuta ristretta e banale.
L'astrazione è il nuovo concetto derivato dal precedente paradosso.
Ancora contro la rappresentazione oggettiva, il pittore russo Casimir Malevic ne "Il mondo della non-rappresentazione" (1927) dice: "Chi voglia giudicare un'opera d'arte secondo il magistero della rappresentazione oggettiva, cioè secondo l'illusione di vita che essa genera, e chi voglia scoprire l'essenza della sensibilità e dell'ispirazione in questa rappresentazione oggettiva, non avrà mai la gioia di intendere il vero contenuto di un'opera d'arte".
La realtà, quindi, non è a priori, ma essa “diviene”, mutando la regola in inventiva (arte/artificio). Non si conosce mai abbastanza lo spazio, perché esso è creato di volta in volta e si immedesima con il sentimento estetico.
L'indeterminazione del segno e della cifra postula l'indipendenza del linguaggio dai fenomeni, così  l'espressione delle arti appare come una “perturbazione del sistema estetico” (così come in fisica, nella meccanica quantistica di Heisenberg, la misura fisica è una perturbazione di cui è impossibile dare una esatta valutazione).
Leibniz ammette una transazione fra possibile e reale con la teoria della "gradazione intensiva dell'essere", per cui dal possibile derivano il reale e l'inesistente e non viceversa (Metafisica di Leibniz nelle relazioni formali).
Il senso dell'essere ha significato, allora, solo nel contesto generale della situazione vissuta dall'artista e la scelta di vita, o di manifestazione artistica, è l'apertura che conferisce a tale situazione una esistenza come poter-essere (progetto) ed in questo senso le fa trascendere i limiti dell’opera fatta nel presente,  trascende la finitezza dell'uomo, della sua morte; per cui la comprensione del senso dell'essere richiede la complementare esperienza del nulla, della alterità, attraverso la negazione delle passioni per le apparenze oggettive e per tutto ciò che le istituzioni politiche, scientifiche e religiose tendono a rendere cultura di massa e identità collettiva.
L'arte fa propria una critica del comportamento umano, del suo modo di essere più intimo e profondo, del suo modo di dire ed esprimere le ragioni della sua esistenza, della sua essenza mistica, non esclusivamente fideistica, del suo modo di esprimere una “'ENSTASI” (l'estasi interiore).
Ed è con queste intenzioni che l'artista entra dialetticamente nel campo della comunicazione e del linguaggio diversificato, degli enunciati di “fatti” (paradossali e probabili - come un koan del buddismo Zen), come di una grammatica trasformazionale, avente diritto di uno "status linguistico" (sebbene non ancora conosciuto) in quanto struttura di segni indicativi, possibili e significanti ( e non aventi già un significato come il comune segno linguistico che già appartiene ad un gruppo sociale che ne fa uso e ne è interprete assuefatto).
Quindi, quello che un segno linguistico della grammatica trasformazionale manifesta (non già esprime) non è dunque una rappresentazione o un concetto dato, bensì una direzione (o senso). Intenzionale.
 Del linguaggio operativo, del possibile, il paradosso costituisce un fondamento, attraverso il quale l’artista propone le sue considerazioni che emergono sulla tela o sulla carta da un nulla in cui si fa strada la propria esperienza, attraverso i sensi e la propria memoria, arricchita anche delle memorie storiche che il soggetto riesce a rielaborare a modo suo.
Il paradosso richiede l'uso di coscienze parallele, che sono oltre la coscienza razionale normale, secondo lo psicologo William James.
La semantica della negazione, o quanto meno della sospensione di ogni giudizio o nozione (epochè) di ciò che è stato, in attesa di ciò che sta per essere, nella possibilità, probabilità, nasce dalla energia del segno astratto tracciato dal gesto di Hartung; dalle manifestazioni segniche di Wols e di Pollock; dalla poetica dello spazio contemplativo ed esoterico di Mark Rothko; dai dipinti "alogici" del pittore russo Casimir Malevic; dalle composizioni più controllate dell'astrattismo lirico della triade francese in M (Masson, Mathieu e Manessier); dalle "morfologie psicologiche del pittore cileno Roberto Sebastian Matta Echaurren; dalla progettazione segnica e dialettico-ecologica del tedesco Joseph Beuys; dallo stravolgimento materico e segnico-grafico del misticismo dell’inglese William Congdon. In Italia, dagli arabeschi astratti di Cagli, dall'espressionismo materico di Burri e dalla pittura segnico-gestuale di Vedova e Capogrossi.
La concezione del nulla e della negatività assume un significato tutto particolare anche nelle varie forme di filosofia e teologia. Attraverso le Upanishad conosciamo la dottrina del "Neti, Neti" ("Non è, non è"), secondo la quale l'unica via che conduce alla conoscenza della globalità e della perfezione è quella delle negazioni, uno stato di esaltazione della coscienza (turiya) in cui avviene una identificazione dell'anima individuale con il Sé Globale, per un processo virtuale.
Nell'esperienza macro-antropica (dell'uomo globale) l'essere nella sua “Enstasi” (Estasi interiore) "avverte"il "destino storico" (geschick) dell'umanità che si manifesta e si occulta. Il pensiero, allora, non è più solo filosofia (amore per la sapienza) ma un pensare che ricorda, una specie di nuovo misticismo, di nuova religiosità ancestrale e primitiva (penso all'animismo sciamanico), dove la materia originaria finisce per identificarsi con il nulla.
Così come il concetto di nulla è presente nel pensiero del buddhismo indiano, cinese e giapponese. Il "Nirvana" si raggiunge al termine di una esperienza illuminante, in una condizione di calma globale; ed essa consiste in un capovolgimento della mente, nel paradosso metafisico (il termine "Nirvana" ha significato di "liberazione attraverso le negazioni"); un tentativo di riscatto definitivo attraverso la "NOLONTA” (“NON VOLONTA’”), per redimere in se stesso l'universo, secondo le tesi di Schopenhauer (anche se il filosofo tedesco non credeva molto nell'arte come riscatto).
Nella scuola Mahayana, la dottrina buddhista può essere riassunta nella seguente frase: "Non abbandonare mai gli esseri viventi e renditi conto che in realtà le cose hanno la stessa natura del vuoto". Nel buddhismo indiano si ha la seguente percezione spirituale: "La forma è il vuoto, il vuoto è la forma".
Dal momento in cui ci sbarazziamo delle facili emozioni, delle incontrollate passioni, degli illusori desideri, fonti di inevitabili conflitti psichici, le cose, le forme esteriori sono svuotate della loro sostanza, private degli effetti che le nutrono e si disgregano nella vacuità.
Nel Taoismo cinese il maestro Lao-tzu richiama questo aspetto nel "Tao Te Ching": "Trenta raggi convergono nel mezzo della ruota, ma è il suo vuoto centrale che fa marciare il carro. Un vaso è fatto di argilla, ma è il suo vuoto che la rende abitabile".
Hegel affermava che la negazione è l'anima stessa della dialettica, come passaggio al di là dell'immobilità del finito.
L'esistenzialismo ha ribadito la presenza necessaria del nulla come segno e manifestazione, come nozione di alterità e negazione.
Giambattista Vico, filosofo, e Francesco De Sanctis, critico e storico della letteratura, hanno affermato che "L'arte è identità di intuizione ed espressione. Essa è una forma di conoscenza di primo grado, prelogica, intuitiva e sensibile, che riguarda l'universale sentimento lirico e cosmico".

Anche nella letteratura di Samuel Beckett vi è una sfida ad ogni estetica consolatoria: poiché sfidare un'estetica è contestare un modo di vivere. Il disprezzo delle regole apparenti, lo spavaldo ermetismo, l'insofferenza della convenzione, la reticenza, la mancanza di chiarezza sono elementi di un momento storico di cui non è facile definire il limite o il passaggio dal segno di superficialità a segno di profondità; non è facile dire in quale momento la mancanza di forma da timidezza diventi coraggio. Saint Exupery affermava che "Appena ci superiamo, l'universale è il traguardo e la grandezza dell'uomo. Non conosco atteggiamenti elevati che si basino sul razionale".
L'artista è un poeta della natura, prete-indovino, chiromante e santone. Ha qualità sciamaniche perché esercita la sua professione sulle idee che si fa del mondo e sul mondo; ed è con il lavoro artistico che viene eliminata questa differenza corporale ed illusoria tra soggetto e il mondo. Si tratta di uno stato mentale di chi si trova di fronte al nulla, al vuoto, all'assenza di tutto quanto ci circonda.
I mistici orientali insistono continuamente sul fatto che la realtà ultima non può mai essere oggetto di ragionamento o di conoscenza dimostrabile; né può essere descritta adeguatamente con le parole, perché sta al di là della percezione comune e dell'intelletto dai quali derivano le nostre parole e i nostri concetti.
Il fisico americano Fritjof Capria - premio Nobel e studioso di filosofie orientali - afferma che: "La realtà così come risulta dall'esperienza dei mistici è completamente indeterminata e indifferenziata"; e questo paradosso viene assimilato dallo stesso scienziato alle indeterminazioni di cui si ha conoscenza nella fisica moderna (indescrivibilità e presenze istantanee delle particelle subatomiche in continua trasformazione).
L'universo dell'artista è un mondo sacrale, da grande specialista dell'invisibile, intimamente animato da energie nascoste nella natura e nella psiche dell'uomo, alle quali si accorda più potere che alla stessa realtà apparente. La capacità di interconnessione di far comunicare tra loro i nostri sensi può portare ad una esperienza globale, enstatica (estetica interiore).
Un pensiero Zen, dottrina fortemente influenzata dal Taoismo, dice: "Nell'istante in cui parli di una cosa, essa ti sfugge". Così come sfuggono alla misura e all'osservazione sensibile le particelle ultime della fisica subatomica (anche la loro è una esistenza paradossale).
La condizione paradossale dell'arte contemporanea e le manifestazioni ad essa inerenti richiedono una vera conoscenza, la comprensione di ciò che, in maniera assai enigmatica, sostiene la vita e penetra nel fondo dell'oggetto conosciuto, invadendo il soggetto cui si rivolge. E si tratta di un grande problema perché la conoscenza nessuno sa dove va cercata né come va cercata; non è comunque con la ragione che si può raggiungerla ma è opera di virtù, presentimento e intuizione, soprattutto modo di essere e problema di disposizione, una nuova iniziazione.
Come la natura, così anche l'arte non fornisce asserzioni: si limita a presentare un universo sincronistico e  senza causa, facendosi complice della natura, come luogo di potere; in questo campo di forza l'artista instaura un ordine magico anche alle apparenti incoerenze, con un'anima primitiva. Egli esprime e manifesta l'ordine e il disordine ed il raccordo percepito tra tutti i movimenti, in apparizione simultanea.
La coscienza nuova segue la via spirituale: al di là di "un sipario mentale che si sfonda", come si dice con una massima Zen.
Lo spazio-vuoto nelle poetiche artistiche viene riempito da quella forza pura che è la luce: una luce interiore. Quando la luce comincia a manifestarsi anche la materia dal buio prende consistenza e si manifesta.
Si preferisce considerare reale un'altra descrizione del mondo (e non un altro mondo, parallelo o dissociato dal nostro), l'altro lato delle cose. Le cose sono reali soltanto dopo che si è imparato a mettersi d'accordo sulla loro realtà. Mettersi d'accordo sulla realtà delle cose presuppone distruggere in sé la certezza che il mondo sia come ci è stato sempre insegnato che fosse e imparare una nuova descrizione di esso. Nessuna descrizione è definitiva; si ferma il mondo e si vede (si ha il potere di vedere).
La destrutturazione del mondo fenomenico sfocia nella rivelazione che non esiste nessuna essenza permanente. Questa nuova arte di vivere e di vedere deve portare l'artista a riconsiderare sempre il valore delle sue percezioni: questa è la "percezione democratica" del mondo.
Fermare il mondo, destrutturarlo, significa avere il potere di vedere.
L'atto di vedere non nega la realtà delle cose create, come non cancella l'identità del soggetto. Tutte e due sono presenti nell'artista in un nuovo rapporto di abbandono, di comunione svegliata. Dove sta l'esterno e dove l'interno, è senza significato. Essi si riflettono l'un l'altro.
Le opere sono soggetti di meditazione, medicina dello spirito e di nobiltà morale.
L'artista reinserisce l'irrazionale, l'illogico, il paradossale del tempo presente (ed in questo è il valore sociale e la posizione virtuale dell'arte) nel quadro complesso della natura e della condizione umana; e manifesta con la propria opera la ciclicità dell'eterno ritorno, la compresenza delle varie energie, le une nelle altre, la loro conservazione, come nelle nobili alchimie filosofali.
Il cammino interiore, cioè la rivelazione di un piano ultrasensibile, è una sfida a qualsiasi legge fisica ordinaria e sconvolge il nostro concetto lineare del tempo. L'accesso a questo stato presuppone il risveglio di certi poteri latenti, cioè il "potere della volontà" e il "potere dell'intuizione". Usando il "potere dell'intuizione", e sapendo "vedere", l'artista vede la trasparenza e la fluidità delle cose, la materia invisibile che le contiene, il "teatro universale e completo".

Roma, gennaio 1987






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“NUTRIRE IL GIORNO” : 'Poesia nel quotidiano' - di Ettore Mosciàno.






La verità è sul sentiero della bellezza spirituale e nella ragione che, con la scelta morale, conduce a quel cammino.

La poesia è “l’altrove che arricchisce questo momento” e mantiene e continua una tradizione culturale e spirituale di quanti ci hanno preceduto nella storia della letteratura e delle arti.
Il poeta è colui che interpreta l’anima culturale della narrazione esistenziale e del suo intreccio, delle sue varie espressioni nel tempo; egli inventa l’uomo interiore e lo documenta: è la persona che sta nell’antropologia culturale e biologica, è l’autentica creatura della storia che tiene lo sguardo sulla realtà della vita. A questa vita, ed alla natura, il poeta ricambia il dono dell’esservi dentro, con la sua scrittura.
Nei sentimenti dell’uomo, e nella sua esigenza di bellezza, è il desiderio ragionevole di interpretare ciò che accade, interiorizzandolo, per dare valore alla nostra natura nella comunità e testimoniarla. Il poeta scrive per far capire, far sentire, vedere, percepire altro, al di là dei frettolosi spostamenti nella vita quotidiana.
Chi è il poeta? Un figlio del suo tempo: non un saggio, né un filosofo.
Nella natura dell’universo, solo l’uomo può esprimere il suo pensiero. La poesia è pensiero manifestato attraverso la scrittura, la lingua, l’epifania creativa della propria lingua. La natura accoglie gli uomini e li colloca, manifesta i suoi orrori e la sua bellezza, appare, diviene, manda messaggi: l’uomo interpreta e vede le trasformazioni del creato, estrapola il linguaggio di una natura muta che l’invita al pensiero, alla descrizione, alla poesia. E’ nel pensiero scritto che bisogna creare la poesia. L’oralità è acqua, fiume, mare, oceano, aria, fuoco, terra, informi. La forma della scrittura poetica è l’identità più alta del linguaggio e della letteratura ed appartiene all’uomo, al suo pensare, alla sua scrittura.
Cosa scrive l’uomo? Come scrive la sua poesia? Qual è la forma della poesia?
La poesia è nell’idea che nasce e nell’immagine che il pensiero delinea, attraverso un linguaggio appropriato, svelando ed ampliando, con la sua testimonianza, ciò che era assente e che, nato dal singolo uomo, può essere trasferito ad altri per evocare in essi nuove e continue percezioni, renderlo partecipe di un concetto di bellezza o di denuncia di pericolo a danno della bellezza.

La poesia è un “clima”dell’uomo, uno stato dell’essere. La natura ci offre il necessario per essere poeti e la storia ci ha raccontato e racconta i comportamenti dell’uomo. Il nostro tempo è percezione e geografia della mente, incanto e mistero, intreccio tra il piacere delle sensazioni e i timori esistenziali: rapporti intimi tra i fenomeni della natura, gli accadimenti e i laboratori segreti dell’intelligenza. E’ come voler entrare oltre la realtà apparente, oltre l’oggetto e la cosa in sé, e sviluppare un sentimento per esaltare una visione, una intuizione, o placare un’irrequietezza per esigenze più significative, espressioni moltiplicate dai sensi e non solo percorse da logiche correnti.
La realtà apparente esige continuamente più profondi significati, esami di interiorizzazione della “cosa” e del senso che “la cosa” ha nel contesto in cui esiste e in cui noi ora esistiamo, ma anche la proiezione che riusciamo a cogliere di significati di un insieme di tutte le “cose”, la loro concatenazione, le armonie e le disarmonie, oltre la nostra finitezza.
Una ricreazione della parola e del linguaggio ci muove, nella paura che ci si possa consumare nell’indifferenza. Un curioso lampeggiamento del primo verso e l’immaginazione e i dati dell’esperienza elaborano l’idea, le curiose capacità metaforiche, accompagnate dall’intuizione delle somiglianze. I giochi di parole, i ritmi ed i suoni nascono da impulsi e proiezioni, lente e meditate riflessioni.
Quella del poeta è un’attitudine e un’arte, una sensibilità nel percepire e nel vedere; ed è anche una scelta etica del linguaggio, della forma e del contenuto, del dare la comunicazione con modalità e suggerimenti per un’esistenza positiva, nonostante i fenomeni alienanti e le sventure nella società moderna.
L’attività poetica è un modo di ridare armonia alle umane sofferenze, alle distorsioni del linguaggio, alla sua manipolazione e mistificazione, alla prevaricazione-induzione alla passività. La poesia, quando è vera poesia, e non produzione spuria di parole assemblate, sublima il linguaggio e la comunicazione; i concetti assumono nuovo valore nella relazione con il privato che ne vuole essere coinvolto per scelta e sensibilità; dunque, la parola poetica richiede attenzione, concentrazione, riflessione: una proiezione ed una introspezione, un trovarsi nella scrittura, nel sentirsi uniti in un appagamento, in una ricerca di come si vuol essere vicino agli altri, con il polso, il sangue ed i muscoli.

La lingua poetica pone un margine alla brutalità e alla volgarità del quotidiano: una volontà purificatrice, la non accettazione del divenire nella consuetudine e nella superficialità; essa è la spinta all’approfondimento della conoscenza attraverso un risveglio dei sensi, nel non essere sempre e soltanto nell’ordinario, nella conoscenza casuale e svogliata.

Vi è distinzione utile, tra linguaggio comune e poesia, nel momento in cui la poesia determina una volontà nuova e diversa nel comunicare ad altri un proprio mondo, un proprio modo di vedere il significato e il percorso tracciato dagli uomini nella loro lunga storia; un valore antropologico di chi vuole immettersi dentro questo tracciato e coglierne le variazioni nelle espressioni del pensiero e delle arti che ci hanno caratterizzato per millenni, nelle tragiche lotte e nelle antinomie. Dobbiamo solo ritrovarci nella forza e nella consapevolezza di corpi e menti immersi anche in ordinaria e straordinaria bellezza, armonia, costruzioni, nature e sentimenti espressi con le migliori energie creatrici. Di tutto questo l’uomo ha visione e indagine, percezione umana inscindibile dal concreto e dall’oggettivo.

La poesia è una “frontiera mobile” che trattiene la sregolatezza sciolta del linguaggio ordinario, dei neologismi extraterritoriali, dei modi di dire, e nello stesso tempo amplia gli orizzonti dei suoi modi espressivi, li rinnova nelle visioni, accentua e mette a fuoco le nuove dottrine scientifiche e filosofiche perché l’uomo abbia materia di riflessione, di sostegno psicologico e spirituale tra le contraddizioni e la marea dei messaggi. Allora, la poesia si fa progetto umano di una “estetica” del dire, del comunicare, in cui si coniuga tutta l’attenzione per far emergere la forza vitale che l’uomo ha in sé, nella sua spiritualità, in un adattamento ai mutamenti dell’ambiente, ai nuovi spazi geografici, alle altre culture.

La forma della poesia si adegua parzialmente ai tempi delle espressioni linguistiche, le avviva e le tiene nella lingua meritevole di ufficialità e di rappresentanza nazionale, nella educazione pertinente. I contenuti possono avere i loro ricorsi storici, in fondo la vita dell’uomo presenta sempre le sue finalità nell’arco di un vissuto determinato dal tempo e da uno spazio, ma sono le sensazioni percepite in modo diverso, in questo tempo e questo spazio, che danno forma nuova ai contenuti della poesia.

La sensibilità poetica ha sempre nuove epifanie, è costante nel raccogliere sfide ed affermare il suo valore. La materialità ha anche il suo aspetto sottile che solo il poeta sa cogliere e descrivere con nuove immagini e proporzioni, nel demistificarla. E’ qui la pacifica lotta sociale e letteraria.
La visione poetica accresce la sostanza della materia, la fruttifica di un senso, ne esalta i “sapori”, allarga gli orizzonti spaziali, consuma il suo cero nella bellezza, solleva l’ansia di una spiritualità terrestre alle armonie riposte in ognuno di noi e le accresce, le leviga nei contenuti, nelle problematiche.
La velocità e il progresso tecnologico scientifico sono fattori responsabili di innovativi cambiamenti nella percezione dei messaggi e nella conoscenza; anche la poesia, come tutte le altre arti, si arricchisce di nuove potenzialità e terminologie, amplia il suo panorama d’ispezione e s’innova di domande, s’interroga sull’essere del nostro tempo, rispetto alla primordiale e complessa significanza di sistemi e di assoluti.
Dovere del poeta è cogliere gli effettivi valori di questi cambiamenti o denunciare il caos, richiamare l’attenzione ad un umanesimo più consono e collocabile nel quotidiano e nei valori della persona e del tempo presente, accompagnando l’uomo tra la morte e il linguaggio.


NUTRIRE IL GIORNO

Nutrire il giorno
dell’antico che non ha traguardo.

Dalla terra e dal cielo
penetrate parole nella nostra pelle.

Miracoli per tutti i sogni e gli incubi:
il passato, l’avventura dei sensi
le risposte alle domande
della macchia chiara sul muro
e del rimosso quadro.

Fragile e vaga, e oscillante
è la ragione, e incerta misura ogni giorno
di ciò che accade.

Il giorno al giorno messaggio
ogni stagione propizia alle ali
ogni occhio sulla radiosa bellezza.

Tutti i fiumi specchiano la luce.
Tutti i fiumi, di grado a loro modo.

Lo spazio aperto e il mutamento
con ogni singolo pensiero risanando.


Roma, novembre 2005





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